Sono volati gli stracci fra il presidente Donald Trump e Elon Musk in una maniera che nessuno si sarebbe immaginato fino all’altro giorno. Tutto è cominciato dalle critiche di Musk alle misure della presidenza circa la spesa federale, quella dello Stato o pubblica come viene chiamata in Italia. Misure insufficienti e timide per il patron di Tesla che da qualche tempo dichiara, a dire il vero, di non volere più collaborare con l’Amministrazione Trump e di preferire il ritorno agli affari.
Trump e Musk si sono visti di persona e l’incontro deve essere andato malissimo visto che il presidente ha dichiarato subito dopo di aver invitato il proprietario di X, Tesla ed altro ad andarsene perché questi avrebbe dato di matto. Sono seguiti poi post e dichiarazioni di entrambi infarciti di insulti e allusioni piuttosto pesanti. Elon Musk ha scritto su X parole esplosive, poi cancellate, circa la presunta presenza del nome dell’inquilino della Casa Bianca nei file di Jeffrey Epstein, il finanziere suicidatosi in carcere nel 2019 dopo essere stato accusato di sfruttamento sessuale ai danni di ragazze minorenni. Ed ha agitato addirittura lo spettro dell’impeachment. Trump non ha mai negato di avere conosciuto Epstein, un finanziere noto a molti peraltro e frequentato da molti prima della bufera, ma ha sempre chiarito di non aver partecipato nemmeno ad una delle “feste” che venivano organizzate dall’imprenditore nella sua villa alle Isole Vergini.
Donald Trump ha descritto colui che fino a poco tempo fa combatteva al suo fianco come un poveretto con dei problemi e Steve Bannon si è spinto a definire Musk come un immigrato illegale e un drogato, dando forza a quelle allusioni già circolate riguardanti una dipendenza, ipotizzata e per nulla confermata, dalle droghe del magnate. Per surriscaldare ancora il clima, Elon Musk ha replicato a Bannon dandogli del ritardato. Non c’è che dire, la situazione si è avvelenata a dismisura e senz’altro questo non fa bene al blocco politico, (conservatori, repubblicani e militanti del movimento MAGA), che si è ripreso la guida degli Stati Uniti e ha fatto tornare Trump alla Casa Bianca. Ciò rappresenta invece un regalo insperato per i democratici e i liberal usciti con le ossa rotte dalle ultime Presidenziali, infatti i pontieri stanno già lavorando per smorzare i toni e fare riavvicinare i due contendenti, anche se il presidente non sembra propenso a fare la pace con Musk, almeno in tempi brevi.
Droghe o meno, Epstein o meno, aspetti questi circa i quali non entriamo nel merito, vi è da dire che tanto Elon Musk quanto Donald Trump, pur essendo degli uomini geniali, abbiano entrambi dei caratteri spigolosi ed impulsivi e determinati patatrac comunicativi possono capitare, anche se, diciamolo, occorrerebbe smussare gli angoli più aspri del temperamento quando ci si trova a certi livelli. Al di là dei toni usati e della voluta drammatizzazione, il dissidio esploso fra Trump e Musk ha una sua spiegazione logica. Il secondo vuole un taglio radicale della spesa federale USA in senso, per così dire, liberista, mentre il primo, pur non essendo di sicuro un fan del Big Government, ma dovendo governare tutte le complessità di una Nazione di 340 milioni di abitanti, preferisce un approccio più ragionato alle sforbiciate applicate al bilancio pubblico.
L’Amministrazione Trump si è trovata a dover a che fare con molti impiegati statali licenziati da un momento all’altro a causa dell’accetta utilizzata da Elon Musk alla guida del DOGE, il Dipartimento dell’Efficienza Governativa. A volte, la gestione della stanza dei bottoni impone scelte pragmatiche sia a chi arriva ai vertici con intenzioni liberali-liberiste che a coloro i quali agguantano il timone con la speranza di tassare e allargare la presenza dello Stato in economia, come è accaduto in passato a Bill Clinton, il quale non riuscì ad imporre in America un welfare di stampo europeo. Spesso, fra la scure liberista e i tentacoli statalisti si fa largo una via di mezzo e il realismo in politica non significa per forza rinuncia eterna ed abdicazione. In ogni caso, Elon Musk sembra persuaso dall’idea di fondare un terzo partito negli USA, il “The America Party” che godrebbe già del favore di almeno l’80 per cento degli americani che non si riconoscono più nei due grandi partiti di massa, il Partito Repubblicano e il Partito Democratico, da sempre dominanti nella scena politica statunitense.
La percentuale dell’80%, più bulgara che americana, verrebbe da sondaggi commissionati dallo stesso Musk e sarebbe interessante vedere anche le rilevazioni di istituti di ricerca indipendenti dal fondatore di Tesla. Viviamo in un’epoca nella quale accadono le cose più impensate, lo stesso litigio Trump-Musk non era nelle previsioni di molti, quindi, tutto può succedere e non mettiamo limiti a nulla, ma finora il radicato bipartitismo a stelle e strisce non ha permesso lo sfondamento elettorale di terze opzioni e l’alternanza fra repubblicani e democratici non sembra destinata a traballare nemmeno per il futuro prossimo. Un eventuale partito di Musk potrebbe sì muovere qualche voto e magari accalorare un po’ il dibattito, ma alla Casa Bianca finirebbe per andarci sempre un candidato dell’Elefante repubblicano o dell’Asinello dem, e pure le maggioranze al Congresso sarebbero comunque determinate dal GOP oppure dai democratici.
E’ bene ricordare il precedente di Ross Perot, anch’egli miliardario e di idee conservatrici, ma in rotta con l’establishment repubblicano della sua epoca, che con un suo partito, il Reform Party, partecipò alle elezioni presidenziali del 1992 dove, dividendo l’elettorato conservatore, contribuì soltanto a fare perdere George Bush senior e a spalancare le porte della Casa Bianca al democratico Bill Clinton. Il Reform Party è sparito in breve tempo e Perot è rimasto nell’immaginario collettivo come il conservatore che fece vincere i liberal. Non vi è molto spazio per un terzo partito nel bipartitismo secco all’americana anche perché i due grandi partiti esistenti riescono già a contenere al loro interno un numero più che sufficiente di anime politiche, che possono gareggiare alla pari per la leadership con lo strumento delle primarie.
Nel Partito Repubblicano, chiamato anche Grand Old Party, GOP, albergano conservatori religiosi, liberisti in economia e liberali finanche sui temi etici, e fra i democratici troviamo centristi, moderati quasi di centrodestra e socialisti dichiarati come Bernie Sanders. Si tratta di contenitori di massa plurali e tutto sommato scalabili anche da outsider e la vicenda politica di Donald Trump, che ha conquistato la base repubblicana e si è imposto sull’establishment tradizionale, è assai emblematica in tal senso. Ecco, Elon Musk, piuttosto di fondare un terzo partito dalle prospettive difficili, faccia come Trump, ovvero, cerchi di avvicinare a sé il popolo del GOP all’interno del GOP, se ritiene di avere idee e ricette migliori rispetto a quelle dell’attuale presidente.