Quando Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia e in generale i conservatori europei asseriscono che le radici giudiaco-cristiane del nostro continente sono messe a serio rischio dall’avanzare, da una parte di un pensiero nichilista e dall’altra dell’ingerenza culturale di altre religioni, non lo fanno certo a cuor leggero. E certamente non si tratta di persone a cui piace scherzare e strumentalizzare temi seri come questo. C’è di mezzo qualcosa di sacro: le nostre origini, le nostre tradizioni. Vanno difese e non c’è spazio per la leggerezza.
Il nemico comune: le nostre radici
Dunque è vero: la nostra cultura, prima ancora della nostra religione, è in serio pericolo e la politica in questo può essere complice o risolutrice. Sarà decisivo il voto dell’8 e del 9 giugno, uno spartiacque per l’Europa. Si deciderà se continuare con chi vuole nascondere, annullandole, le nostre origini, o dare fiducia a chi si propone di difenderle, a chi ha intuito che dietro la volontà di un ateismo estremo si nasconde quella di sparare a zero sull’intero impianto su cui si basa la nostra società.
Il nichilismo di cui si parla è quello delle derive woke, che vorrebbero imporsi come nuovo credo, dogmatico, ma senza fondamenta. Le ingerenze culturali sono ovviamente quelle del fondamentalismo islamico, che pure vuole sostituirsi come nuovo credo. Entrambi forti, con alle spalle storia o influenze varie (nel caso del fondamentalismo, ambedue le cose) e apparentemente in contrasto tra loro. L’ateismo sfrenato, quello nichilista e irrispettoso delle richieste della maggioranza, e l’islamismo più radicale si trovano bene insieme quando si trovano un nemico in comune: le radici cristiane dell’Europa.
L’Occidente ricordi di essere cristiano
E così le loro battaglie per conquistare una società ormai rimasta orfana di guide culturali, combaciano. La sinistra radicale solidarizza, talvolta sottobanco, talaltra alla luce del Sole, anche con le frange più estreme dell’islamismo. Compare così una bandiera palestinese sul Duomo di Milano, uno dei simboli della cristianità, tra le cattedrali più grandi e più belle al mondo. Figura indiscussa nel panorama culturale europeo. Non è solo una mossa politica di qualcuno, non è soltanto la volontà di accendere i riflettori su Gaza, la questione è ben più profonda. Va oltre la politica e va oltre la stessa religione, la stessa cristianità, che ha accolto nel silenzio la notizia. È cultura, un ultimatum di guerra culturale. Come dire: stiamo arrivando, riusciremo a sovrapporre le nostre bandiere alle vostre, avremo la meglio sulla vostra identità.
Stanno arrivando e sono vicini, in un mondo occidentale che oramai sonnecchia, svilito delle sue certezze. E a rischio – ciò che la sinistra e atei anti-cristiani non hanno capito – c’è lo stesso impianto democratico e laico della nostra società: secoli di battaglie per allontanare la pesante ingerenza della religione sulle decisioni temporali andrebbero perduti, in nome di una guerra santa che vorrebbe imporre il Corano come legge da rispettare. E restano a guardare gli occidentali, immobili, talvolta messi a tacere da una propaganda favorevole all’ingerenza musulmana. La speranza è che si creda, piuttosto, in chi fa delle proprie origini un modello da seguire. L’Occidente deve ricordarsi di essere cristiano.