Parliamoci chiaro, la moda prodotta in Italia è la più sostenibile al mondo, laddove per sostenibilità s’intenda un vero e proprio approccio votato ai suoi tre pilastri: sociale, economica e ambientale, che sono intrinseci alla natura del nostro tessuto imprenditoriale composto in gran parte da aziende piccole e medie.
Ben diverso è il concetto di sostenibilità che alcune multinazionali vorrebbero imporre tout court con l’obiettivo di sbarazzarsi della concorrenza di realtà come le nostre: si tratta di una gigantesca operazione di green washing realizzata grazie a budget a nove zeri.
La tecnica è quella del framing, che consiste nel mettere al centro del dibattito temi oggettivamente poco influenti (ad esempio riparo e riuso) per spostare l’attenzione da questioni sostanziali, come il fatto che quelle stesse multinazionali producono in nazioni lontane anni luce dai tre pilastri citati in apertura. Altro che sostenibili.
Eppure, la manifesta disparità in termini di marketing sta determinando il paradosso che, tra i capifila della battaglia a tutela della sostenibilità e contro il fast-fashion, vi siano multinazionali che – come spiegato da Milena Gabanelli in Dataroom del 10 gennaio scorso – fanno il bello e il cattivo tempo producendo in paesi dove la mano d’opera ha costi bassissimi e che inquinano più di Europa e Stati Uniti messi insieme.
Si tratta di una premessa irrinunciabile per andare dritti al punto e affrontare il tema nell’unica direzione possibile: tutelare le nostre eccellenze, mettendo aziende e artigiani nelle condizioni di essere competitivi sul mercato e – aspetto molto importante – di tramandare il proprio sapere alle future generazioni.
Lo affermo con estrema convinzione poiché sono comasco e da ormai tre anni curo la comunicazione del distretto bolognese di Centergross, due territori in cui tessile e moda hanno un peso specifico importante dal punto di vista economico, storico e culturale. Luoghi, Como e Bologna, in cui la moda non è solo business, ma anche etica, stile e tradizione.
Siccome crediamo nell’assunto per cui “tutto si tiene”, negli ultimi tre anni abbiamo lavorato su diversi livelli affinché le qualità delle 400 aziende moda di Centergross potessero emergere, a partire dal “Pronto Moda Made in Italy”, un modello virtuoso perché nato all’insegna della sostenibilità e basato su una filiera corta, che si sviluppa nel raggio di 80 chilometri, sulla velocità di realizzazione del prodotto e di distribuzione, favorendo un riassortimento continuo di collezioni evitando giacenze di magazzino e sprechi, perché si produce solo ciò che si vende, nemmeno un capo in più.
Peraltro, andando incontro alle esigenze dei piccoli commercianti e dei negozi multi-brand che, insieme ai consumatori sono le prime vittime del giogo delle grandi catene fast-fashion.
Si tratta di una strategia composta da eventi moda come “Winter Melody” e “Summer in Italy”, ormai entrati stabilmente nel calendario delle sfilate più importanti, iniziative di marketing come il docufilm “Bologna: arte, moda e cultura”, missioni di internazionalizzazione e incoming di buyer dall’estero, ma anche di un importante lavoro di relazioni istituzionali.
Per rimanere all’attività degli ultimi mesi, il Ministro Adolfo Urso è intervenuto con un messaggio in occasione del nostro ultimo evento al Teatro Arena del Sole, lo scorso ottobre Centergross ha ospitato un convegno organizzato insieme al Parlamento Europeo sulle nuove norme in materia di tessile e fast-fashion, e il 24 gennaio si è riunito per la prima volta un apposito gruppo di lavoro sulla moda coordinato da Bologna Città Metropolitana, di cui fanno parte istituzioni e rappresentanti delle categorie di tutto il territorio.
L’auspicio è che l’insieme di queste azioni possa contribuire a creare consapevolezza e ad unire, sempre di più, aziende, Istituzioni locali, Governo ed Europa: dobbiamo fare gioco di squadra, solo così potremo vincere questa sfida epocale a difesa del Made in Italy.