Violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere: quando lo Stato non c’è.

Le immagini delle violenze diffuse dalla stampa dei fatti del carcere di Santa Maria Capua Vetere restituiscono un quadro, per quanto parziale e ancora da definire nei suoi contorni, che non avremmo dovuto vedere. Lo Stato, che ha il monopolio dell’uso della forza ha innanzitutto il dovere di amministrare quel potere nella maniera che sia garantita giustizia, equità, proporzionalità.

Dunque posto che è inaccettabile e va perseguita senza infingimenti ogni singola condotta criminale, questo episodio impone una riflessione ben più profonda e di sistema, che ha a che fare con il ruolo che lo Stato ha deciso di assumere nel delicato equilibrio che sussiste tra la garanzia dei diritti e la loro tutela, che talvolta deve passare appunto per l’utilizzo della forza pubblica.

Le vicende di Santa Maria Capua Vetere, infatti, si situano a valle delle proteste per le restrizioni anti Covid del marzo 2020, quando in circa venti carceri italiane esplodono rivolte sanguinose, durante le quali i detenuti mettono a ferro e fuoco gli istituti penitenziari, si registrano morti evasioni e danni incalcolabili alle strutture.

Le rivolte esplodono all’unisono, in modo talmente tanto programmato da far pensare subito ad una strategia comune e in molti hanno pensato ad una possibile regia mafiosa per ottenere benefici.

Eppure, dopo queste assurde vicende, incredibilmente lo Stato risponde con una paradossale circolare del DAP, grazie alla quale vengono rimessi in libertà oltre 200 detenuti soggetti al 41 bis o al regime di alta sicurezza. Lo scandalo è che iniziano ad uscire dal carcere addirittura mafiosi come Zagaria, che vengono posti gli arresti domiciliari per “motivi di salute”. Montano polemiche asperrime, che conducono nel maggio successivo alle dimissioni dell’allora direttore del DAP Basentini, l’uomo voluto da Bonafede al posto della prima scelta Di Matteo. E’ appena il caso di soffermarsi sulle polemiche dell’epoca, quando pare che su Di Matteo fosse piovuto il “mancato gradimento” della popolazione carceraria, a causa delle sue visioni assai poco morbide soprattutto sulla detenzione per mafia.

Ebbene in questo contesto, in aprile a Santa Maria Capua Vetere monta un’altra protesta “anticovid” e i detenuti, verosimilmente incoraggiati dalla eufemisticamente tiepida risposta dello Stato per le rivolte precedenti, insorgono.

Il giorno successivo, secondo quanto al momento prospettato dalla procura, dunque, si verificano gli episodi di violenza che hanno condotto all’adozione di misure cautelari per 52 agenti della polizia penitenziaria.

E dunque emerge evidente che le insurrezioni campane nascono nell’ambito di uno Stato totalmente assente, che solo un mese prima, al posto di rispondere con fermezza alle violenze dei detenuti ribelli, quasi sembra voglia assecondarne le richieste, agevolandone la scarcerazione. Ed è fisiologico che quando lo Stato arretra avanza il disordine ed il caos.

Nella dimensione privata, l’assenza dello Stato nella tutela dei diritti si traduce in un bisogno di giustizia che viene soddisfatto in proprio, secondo i criteri della “giustizia fai da te”. Ma quando la dinamica è totalmente disfunzionale, si verificano devianze sistemiche e interi apparati si organizzano per sostituirsi alle istituzioni. E’ un fenomeno sociologico diffuso, accade così con la criminalità organizzata, che fa della debolezza e dell’assenza dello stato il proprio terreno fertile, ed accade nei microcosmi come le carceri, dove le difficoltà e i delicati equilibri che si vivono sono tali da generare situazioni esplosive e potenzialmente devastanti.

Ma c’è di più, perché oltre all’idea di assenza, lo Stato dà troppo spesso la sensazione di vera acquiescenza nei confronti delle condotte delittuose, con le forze dell’ordine che ormai troppo spesso, prive di dotazioni e con scarsi mezzi, sono costrette a difendere la società con il timore di poter essere indagati e sospesi dalle funzioni se viene utilizzata la forza. Come d’altronde accaduto pochi giorni fa al poliziotto indagato per aver sparato alle gambe dell’immigrato che minacciava con un coltello i passanti a Roma.  E’ disorientante uno Stato tanto arcigno con i propri servitori quanto benevolo con i malviventi, in cui tutele e garanzie sembrano essere unico appannaggio di chi delinque.

E dunque se si vuol trarre dalle vicende di Santa Maria Capua Vetere un monito, occorre dare una lettura completa ed onesta di quanto accaduto e si concluderà, come in più occasioni predicato da Fratelli d’Italia, che solo con un’azione credibile che riporti al centro lo Stato e le sue articolazioni, che torni a riempire i vuoti che si stanno pericolosamente creando, che restituisca dignità alle funzioni che le nostre forze dell’ordine svolgono quotidianamente, potremo ristabilire l’ordine e arginare ogni devianza.

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