Vogliono dare la cittadinanza a tutti. Ma solo se hanno la tessera del Soho House

Il comitato per il referendum che vuole spalancare le porte d’Italia agli “inclusi” si dà appuntamento nel club più esclusivo della Capitale. Tra prosecco bio, tessere platinum e Carrie Bradshaw, ecco gli eroi della nuova sinistra salottiera.

È bello sapere che c’è ancora chi combatte per i diritti degli ultimi. Che si batte contro il razzismo, la discriminazione e l’ingiustizia sociale. Naturalmente, purché lo faccia dal rooftop con piscina del Soho House di Roma, mentre sorseggia un gin tonic artigianale e scrive l’ultimo thread su X tra un massaggio olistico e una sessione di mindfulness.

In vista del referendum per regalare la cittadinanza italiana a chiunque riesca a pronunciare “inclusività” senza sbagliare l’accento, il Comitato Promotore – un’ammirevole coalizione di attivisti, radicali e pensatori da salotto – ha trovato rifugio spirituale nel più esclusivo dei rifugi borghesi: il Soho House. Altro che Garbatella, altro che popolo.

“Inclusione sì, ma con selezione all’ingresso”, sembra il motto non ufficiale del comitato. Perché sì, la patria dev’essere di tutti. Ma mica tutti possono entrare nella sala lounge con vista sui Fori Imperiali, dove si decide il futuro della democrazia. Serve l’invito, serve il dress code, e soprattutto serve il pedigree culturale: meglio se con una laurea in Antropologia Decoloniale conseguita a Parigi 8.

Tra i volti noti, spiccano Emma Bonino, che combatte le diseguaglianze sociali con lo stesso spirito con cui altri si fanno le unghie al Mandarin Oriental. Poi Pippo Civati, che sfodera il suo miglior sorriso di sinistra mentre controlla che la playlist lounge non contenga canzoni sovraniste. Immancabile Luigi Manconi, che avrebbe voluto convocare l’assemblea a Lampedusa ma, si sa, il Wi-Fi lì non è dei migliori.

E poi l’immancabile don Luigi Ciotti, direttamente da “Porgi l’altra guancia” a “Porgi l’altra tessera del club”.

Sono quelli che parlano di “apertura”, ma solo nei menu degustazione. Che vogliono spalancare le frontiere, ma chiudere le porte del bagno ai non soci. Che predicano l’accoglienza a reti unificate, ma che poi ti guardano storto se non sai citare La società dello spettacolo in lingua originale.
E così, mentre l’Italia vera lavora, fatica e magari si chiede se abbia ancora senso concedere la cittadinanza a chi non ha alcun legame con la nostra storia, l’élite progressista si riunisce dove nemmeno Sex and the City oserebbe girare un remake.

Loro ci credono davvero: che basti una crocetta su un modulo per essere italiani. Che identità, lingua, storia, cultura, religione, valori siano accessori vintage da archiviare, come le foto in bianco e nero dei nonni.

E se osi sollevare dubbi, sei subito fascista, omofobo, reazionario, nostalgico, e – peggio di tutto – non sei nemmeno socio del Soho House.

Il popolo li guarda da fuori, magari dal marciapiede. E loro, dal terrazzo, agitano le mani e dicono: “Venite, è casa vostra!”. Purché si porti una bottiglia di Champagne e si lasci la cultura italiana fuori dalla porta. Tanto domani c’è il voto. E poi si torna a Londra. O a Capalbio.

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