Ad ogni inaugurazione dell’anno giudiziario vi è sempre qualche magistrato che, tramite il proprio discorso pubblico preparato per l’evento, si distingue per particolari attacchi rivolti alla politica. All’apertura dell’anno giudiziario 2024 si è parlato di “bulimia riformatrice”, volendo stigmatizzare un po’ tutti i governi più recenti, che in qualche modo sono intervenuti nel settore Giustizia o hanno almeno provato a farlo, e soprattutto l’attuale, che sta portando avanti il cosiddetto ddl Nordio, dal nome del ministro della Giustizia Carlo Nordio. È emersa anche l’osservazione, questa senza dubbio legittima, circa la necessità di nuove assunzioni presso i tribunali italiani, attanagliati dalla scarsità di personale. Per carità, nessuno vuole impedire ai giudici di dire la loro, ma una certa alzata di scudi pregiudiziale che si palesa con puntualità ad ogni tentativo volto a migliorare il funzionamento della Giustizia italiana, sa di autoconservazione reazionaria rilanciata periodicamente da una sorta di casta che, asserragliata in un fortino, evita, come invece dovrebbe fare, di confrontarsi in modo professionale e non ideologico con chi è stato eletto dai cittadini, al fine di rendere più efficiente e ponderata l’azione della macchina giudiziaria, per tutti, per il cittadino in primo luogo, ma anche per il bilancio dello Stato e per gli stessi magistrati. Il ministro Nordio ha risposto, con pacatezza, ma anche con estrema convinzione, ai rilievi emersi durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario.
Il Guardasigilli, riconoscendo il bisogno di potenziare il campo della Giustizia con nuove risorse umane, ha assicurato come sia proprio la sua riforma, sua e, beninteso, di tutto il resto del Governo, la prima a prevedere un rafforzamento con nuovi concorsi e di conseguenza nuovi magistrati. Del resto, il ricambio e il consolidamento del personale fanno parte dei tanti obiettivi posti dal Pnrr, fatti propri dal ddl Nordio. I media hanno finora focalizzato la loro attenzione perlopiù sui limiti alle intercettazioni telefoniche, sacrosanti e già divenuti legge, e sulla abolizione del reato di abuso d’ufficio, scelta indispensabile che ha già ottenuto una prima approvazione da parte della commissione Giustizia del Senato. Ma il processo riformatore nell’ambito della Giustizia, perseguito dal Governo Meloni, si basa su un cronoprogramma in cui vi sono più step, scadenze e traguardi da raggiungere, molti dei quali delineati, appunto, dal Pnrr. Si va dalla formulazione di tempi piu’ rapidi dei processi allo smaltimento delle cause arretrate, sino a giungere alla separazione delle carriere dei magistrati. Una Giustizia lenta che, fra l’altro, tende ad incartarsi spesso, oltre a martirizzare la vita delle persone, rappresenta una delle tante voci di spesa improduttiva dello Stato. Non si vuole fare una riforma tanto per divertirsi a rovinare il sonno a qualche toga, ma perché ci sono delle esigenze, generali e non particolari di Carlo Nordio o Giorgia Meloni, non più rimandabili. Anzi, come sottolineato più volte dal Guardasigilli, il ddl che porta il suo nome è solo il minimo sindacale per fare fronte alle principali lacune del sistema giudiziario di questa Nazione, e occorrerebbe andare anche oltre, affrontando nuovamente lo spinoso tema della responsabilità civile dei magistrati, ritoccata in maniera soft nel 2015, durante il Governo Renzi.
Oltre ai soldi buttati via per inchieste farlocche, intercettazioni dal valore più pruriginoso che penale e tempi biblici, si sono verificati errori tragici, magari un po’ voluti e un po’ no, dovuti all’utilizzo disinvolto di falsi pentiti, persone con riscontrate patologie mentali e testimonianze inattendibili, che hanno distrutto l’esistenza di tanti. La vittima più celebre dell’uso, diciamo così, leggero della Giustizia è stato indubbiamente Enzo Tortora, coperto di fango da noti assassini della camorra di Raffaele Cutolo e da un tale Giovanni Pandico, affetto da schizofrenia sin dalla giovane età. Nessuno ha pagato per determinati obbrobri giudiziari e questo non è accettabile in una Nazione civile, democratica ed europea come l’Italia. Forse nessuno pagherà neppure per il povero Beniamino Zuncheddu, assolto e rilasciato dopo 33 anni di carcere trascorsi da innocente. Fu condannato, nel 1991, all’ergastolo perché ritenuto responsabile della uccisione di tre persone e del ferimento di una quarta, ma si trattò di una drammatica svista causata da false testimonianze. L’uomo è invecchiato in carcere, entrò a 27 anni e ne è uscito ora a 59, senza avere commesso nulla e ciò grida vendetta. Nessuno potrà ridare a Zuncheddu gli anni consumati in prigione da innocente e, altro aspetto funesto, probabilmente non verrà punito il colpevole di questo scempio. Si comprende come sia obbligatorio intervenire in merito alle tante falle della Giustizia italiana. Altro che bulimia riformatrice!
Qui devo dire come la penso, un Ministro deve gestire il cambiamento, Nordio ha ragione, anche con i “piccoli passi”
Con affetto
Alessandro
La magistratura italiana ha sicuramente bisogno di nuovi giudici.
Ma qui dissento da quanto detto da te e dal pur valente Ministro Nordio, che la conosce bene.
“Nuovi” non vuol dire “aggiuntivi”, ma con una testa ed una cultura giuridica nuova, diversa da quella che appare dal comportamento dei giudici attuali.
“Nuovi” non può che voler dire diversi e “sostitutivi” di quelli attuali.
Non credo proprio che l’Amministrazione della Giustizia soffra di carenze di organico o ancora meno di soldi.
Basta che il personale lavori, ad ogni livello.
Perchè mai le ferie giudiziarie sono di tre mesi? Cosa fa un giudice tutto il giorno? Quante ora alla settimana va in Tribunale? Il Ministro Nordio conosce bene quella realtà, non stia a dare il contentino di maggiori organici e maggiori soldi.
I magistrati italiani sono una casta di intoccabili, in gran parte fannulloni, e strapagati.
“Nuovi” a modo mio vorrebbe dire
L’elenco può continuare, Roberto, anche tu sapresti meglio di me completarlo!
Altro che bulimia. Ci vorrebbe una scopa.
A proposito di Tortora, e dei legami tra magistrati e politica, vorrei ricordare un episodio personale. Nell’estate del 1985 ero al mare con mia figlia e nello stesso villaggio c’era un mio vecchio compagno di liceo, diventato nel frattempo deputato del PCI, che commentando la vicenda Tortora mi disse senza mezzi termini: “Noi (cioè il PCI) sappiamo che è colpevole”.
Non so se il deputato in questione, di cui potrei fare nome e cognome ma qui non mette conto, fosse più in malafede o più cretino. Forse tutt’e due.
Con affetto
Alessandro
Comprendo, in ogni caso, il Tuo discorso, diciamo così, molto più netto del mio e di quello del ministro Nordio, ma credo che l’approccio di questo Governo rappresenti già un inizio, un buon inizio utile a contrastare le pretese della casta togata. Accipicchia, l’esempio del deputato PCI, da Te citato, la dice lunga su quante persone pericolose e aventi responsabilità politiche o giudiziarie, ci siano state e ci siano tuttora in Italia. A me questi individui fanno letteralmente paura. “Lo sappiamo e basta!”. Cioè, si avalla una consuetudine, un sistema in maniera cieca e, anche indirettamente, si contribuisce con consapevolezza di fatto ad uccidere un innocente. Tortora morì poco dopo, a 59 anni, e gente come quel deputato PCI direbbe:”Beh, aveva un tumore”. Io credo che quella balorda vicenda abbia accelerato la malattia e il conseguente decesso.