Negli ultimi giorni la tensione tra Stati Uniti e Brasile ha raggiunto livelli senza precedenti. Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha revocato i visti statunitensi al giudice della Corte Suprema brasiliana Alexandre de Moraes, ai suoi alleati e ai familiari stretti. Una decisione presa come reazione alla “caccia alle streghe politica” orchestrata contro l’ex presidente Jair Bolsonaro, che oggi si ritrova sottoposto a misure restrittive mai viste prima in un Paese democratico: cavigliera elettronica, divieto di usare i social media, di ricevere diplomatici, di uscire di casa dopo le 19:00 e di comunicare con i suoi stessi figli, anch’essi sotto indagine.
Rubio ha definito tutto questo un “persecution and censorship complex” che viola i diritti fondamentali non solo dei brasiliani ma anche di cittadini americani. Il raid contro Bolsonaro è stato autorizzato tramite un’inchiesta segreta, una modalità ereditata dalle epoche più oscure della dittatura militare brasiliana. Eduardo Bolsonaro ha denunciato pubblicamente questa persecuzione come un abuso del potere giudiziario, accusando Moraes di comportarsi come un “gangster politico in toga”, deciso a distruggere suo padre e a spezzare le relazioni tra Brasile e Stati Uniti.
Bolsonaro ha raccontato che la polizia è entrata in casa sua, ha chiesto di usare il bagno e, magicamente, è uscita tenendo in mano una chiavetta USB. “Non ho mai usato una chiavetta USB in vita mia. Non ho nemmeno un portatile in casa”, ha dichiarato con sgomento. L’ex presidente si dice umiliato ma non intenzionato a fuggire. “Ho 70 anni, sono stato presidente per quattro anni… mi sento umiliato”, ha detto, ma ha ribadito la sua determinazione a combattere.
A livello internazionale, la questione ha avuto maggior eco dopo che Donald Trump ha annunciato l’intenzione di imporre dazi del 50% sulle esportazioni brasiliane verso gli USA, in risposta al trattamento riservato a Bolsonaro. Il presidente Lula ha replicato definendo “arbitraria” la decisione americana e accusando Washington di violare la sovranità del Brasile. Tuttavia, il sostegno di Trump e di Rubio mostra che la comunità conservatrice americana non intende restare in silenzio davanti a un attacco così sfacciato ai valori democratici.
Questo episodio dimostra come Jair Bolsonaro, simbolo del patriottismo brasiliano e della lotta per la libertà, sia diventato il bersaglio di un sistema politicizzato che mira a distruggerlo solo perché rappresenta una visione alternativa. Le misure imposte contro di lui non sono giustizia, sono piuttosto vendetta. E la reazione americana manda un segnale chiaro: le voci conservatrici non verranno messe a tacere. Bolsonaro oggi resiste alla censura giudiziaria, così come ieri ha resistito alle pressioni internazionali da presidente. La battaglia non è finita, ma chi crede nella libertà e nella sovranità nazionale sa bene da che parte stare.
Anche l’Italia dovrebbe osservare con attenzione ciò che sta accadendo in Brasile. Quando il potere giudiziario si trasforma in braccio armato dell’ideologia progressista, nessun leader di destra è veramente al sicuro. La persecuzione contro Bolsonaro è un campanello d’allarme per tutte le nazioni democratiche: il rischio non è solo politico, ma sistemico. Se si legittima l’uso strumentale della giustizia per zittire oppositori patriottici, allora nessuna sovranità nazionale sarà più garantita. È il momento di vigilare, di restare uniti e di difendere con fermezza quei principi di libertà e autodeterminazione che sono alla base dell’identità europea e italiana.