Eurocamera dei deputati, Carola Rackete in audizione: “17 giorni in mare senza ottenere risposta da nessun paese europeo, è una vergogna! Ho deciso di entrare in porto in Italia non per provocazione, ma per necessità “. Interminabili applausi e una standing ovation da notte degli Oscar.
Ecco cosa rischiava di tanto grave il capitano della Sea watch quando ha deciso, risoluta, di forzare l’alt delle autorità e speronare una nostra nave della guardia di finanza.
Eh già, un bel rischio ha corso colei che è stata definita “capitana coraggiosa”, paladina dei diritti dei migranti, dipinta dal mainstream come una “sola contro tutti”, ma soprattutto come colei che ha sfidato e vinto l’arcigno diniego di attracco del governo italiano.
Rammentiamo a noi stessi che in quei 17 giorni la Rackete è stata coccolata dall’opinione pubblica e rassicurata dai deputati dem, che hanno fatto a gara per farsi accompagnare (a favore di telecamera) sulla nave, in attesa di un ok all’approdo che si sapeva non sarebbe mai arrivato. Mentre sul proscenio si costruiva il personaggio della dura, pura e senza paura, dietro le quinte era tutto un susseguirsi di indicazioni su come rendere più avvincente l’epilogo dello sbarco.
Ma non occorre essere acuti osservatori per notare che la Rackete è un personaggio disegnato a tavolino, talmente caratterizzato da sembrare finto, trasudante buonismo d’accatto da tutti i pori: dalla mise alla prosodia delle sue esternazioni.
Non ha rischiato mai nulla la “pulzella delle ong” e si poteva facilmente immaginare cosa sarebbe accaduto dopo il suo fermo: immediata restituzione alla libertà, placet e complimenti da parte della magistratura, della stampa e di tutta la sinistra, una pacca sulla spalla, una stretta di mano, l’invito in audizione a Bruxelles e la standing ovation finale. Coraggioso è un gesto che porta con sé delle conseguenze e in questa triste storia, in cui il capitano Rackete ha recitato da coprotagonista, di conseguenze non se ne sono mai intraviste. Tutto è finito come era scritto, con la creazione del mito per la decifrazione della realtà. Ed ecco che, come la migliore tradizione mitografica insegna, traiamo la morale, e stavolta la favola dimostra che siamo schiavi in un sistema che annienta l’autodeterminazione dei popoli a vantaggio del più pervicace globalismo utilizzando “strumenti di immigrazione di massa”.