A Napoli la Gomorra di Saviano ha prodotto mostri

Dobbiamo inevitabilmente constatare che la Gomorra di Saviano ha favorito i fenomeni di emulazione criminale rendendo i suoi personaggi eroi o miti tra i più giovani, specie tra quelli delle famiglie più disagiate. Anche oggi Saviano non ha perso l’occasione per mettersi in mostra di fronte a tragedie giovanili che proprio la sua ‘cultura’ ha contribuito a creare. Di fronte a questi drammatici episodi confermiamo il nostro impegno che si è tramutato in provvedimenti come quello su Caivano che, al contrario delle parole pericolose di Saviano, stanno ponendo le basi per un’inversione di tendenza fra le giovani generazioni.

Con Arcangelo Correra siamo a tre. Tre giovani vite uccise dal piombo assassino, in appena quindi giorni, tra Napoli e provincia. 

Ritorna il lei motiv dell’ordine pubblico all’ombra del Vesuvio mentre l’intera filiera istituzionale latita o fa finta di non vedere la gravità di questo fenomeno.

La morte cruenta di un giovane per mano di un suo coetaneo armato è un dolore lancinante che non può essere circoscritto solo alla sfera familiare ed amicale della vittima. È una sconfitta dell’intera società incapace di tutelare e far crescere in sicurezza i suoi figli e, quindi, la generazione del futuro. 

Di fronte a queste immani tragedie non ci sono parole capaci di dare conforto ed infondere speranza. Servono fatti, perché i minori armati, le cosiddette baby-gang, sono ormai un enorme problema sociale da affrontare con la massima fermezza. 

Gli episodi luttuosi si moltiplicano e non sembrano aprire squarci di riflessione critica, né di presa di coscienza della gravità di determinate condotte criminali che, anzi, fanno addirittura proseliti. Purtroppo, il fenomeno ha molteplici radici con un comune denominatore: la crisi della famiglia. 

I giovani sono orfani di genitori vivi ma distratti, all’interno di una società in cui si sono dissolte le tradizionali agenzie educative che un tempo aiutavano a trasmettere valori, a formare le coscienze dei nostri ragazzi. Le famiglie sono spesso assenti, i genitori hanno abdicato alla loro funzione educativa. A pesare è soprattutto la mancanza della figura materna, in quanto la donna è sempre più impegnata ad affermarsi nel mondo produttivo, quasi in competizione con il marito, tutta dedita a rivendicare i suoi pur giusti diritti, ma tralasciando i doveri di moglie e soprattutto di madre. 

Manca, cioè, l’angelo della casa, il punto di riferimento dei componenti della famiglia, il guardiano dei valori educativi dei propri figli. E purtroppo nessuna legge può porre rimedio a questa lacuna, essendo un problema principalmente culturale della società moderna dove i mass media definiscono gli eroi, le mode, gli interessi e, quindi, i valori dominanti in un divenire sempre più convulso, frettoloso e indeterminato, segnato dall’influenza dilagante della telematica, dei social e dell’intelligenza artificiale con risvolti pericolosi.

 In questo contesto, spiccano i modelli diseducativi che incitano alla violenza ed alla sopraffazione come Gomorra che servono solo a chi li propina e ci campa. Mancano, invece, i modelli propositivi, i progetti di educazione e sensibilizzazione, con il coinvolgimento delle parrocchie aperte fino a tarda sera, come vuole don Luigi Merola, dedite allo svolgimento di attività ludiche e sociali fuori e dentro le chiese, meno protese alle funzioni prettamente religiose e maggiormente impegnate ad invogliare i giovani alla partecipazione adeguandosi così ai tempi della telematica. 

Se lasciati soli a sé stessi molti ragazzi finiscono col trovare un rassicurante rifugio nel branco, nella gang illudendosi di essere vincenti con atti di prepotenza ed efferata prevaricazione, ignorando che tali comportamenti, spesse volte,portano dritto alla galera o ad un mortale regolamento di conti. 

Mai come in questo momento i genitori hanno il dovere di recuperare la loro primaria funzione educatrice, evitando scorciatoie di comodo come quella di essere sempre accondiscendenti con i propri figli per quieto vivere, una sorta di buonismo pietoso quanto deleterio, o, peggio, di lasciarli crescere soli, senza guida, per poi pentirsi, chiedendo un improponibile perdono alle vittime, quando delinquono. Ma sono le istituzioni, soprattutto , che devono fare molto di più, con una giustizia rapida e inflessibile, ed interventi concreti di inclusione nelle realtà più disagiate e degradate.

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Giovanni Curzio
Giovanni Curzio
Giovanni Curzio, 20 anni, napoletano, studente alla facoltà giurisprudenza nella università degli studi Suor Orsolo Benincasa, da sempre appassionato di giornalismo sia di cronaca che sportivo. Collabora anche con agenzie di stampa ed emittenti radiofoniche e televisive dellla Campania.

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