Che le previsioni sul destino del precedente governo fossero difficili da azzeccare, lo avevamo capito fin troppo bene l’8 agosto, quando a sorpresa, Salvini ufficializzò la rottura della Lega con i 5Stelle.
Ma che potessimo ritrovarci, nel giro di nemmeno un mese, da un governo giallo – verde ad un governo (poco) giallo e (molto) rosso, era davvero fuori da ogni possibile brillante intuizione.
Ad iniziare l’escalation delle difficili previsioni ci fu – a crisi aperta – la convinzione del ritorno alle urne, “perchè Pd e 5Stelle non si accorderanno mai per un governo tra di loro!”. Una brevissima parentesi però – quella dell’ipotesi voto – alla quale seguirà l’improvvisato dialogo tra Pd e 5Stelle.
Non improvvisato invece il regista: Matteo Renzi. Sì, lo stesso del “mai con i 5Stelle” – che all’ indomani delle elezioni del 4 marzo impedì l’apertura di un’intesa tra le due forze politiche spalancando, di fatto, la strada al governo giallo – verde. Lui che forte dei “suoi” 100 parlamentari e consapevole della non convenienza delle elezioni, rilancia il sasso – senza nascondere la mano – di un governo istituzionale, ‘per evitare l’aumento dell’Iva’ e per ‘il bene dell’Italia’.
Convinzione che ben presto dovrà far sua anche il segretario del Pd, dapprima palesemente a favore del ritorno alle urne, ma convertito, nel giro di qualche ora, alla formula renziana del governo anti- crisi. E così anche i numerosi sfoghi di Zingaretti contro i 5stelle – “io lo dico a tutti e lo dirò per sempre, che non intendo favorire nessun’alleanza o accordo con i 5 stelle” – diventano il passato. Dopotutto: erano altri tempi, no?
Ad aggiungersi alle famose improbabili previsioni, ecco Conte, appena 20 giorni dopo l’apertura della crisi, accettare l’incarico di formare un nuovo governo. Il tutto sotto lo sguardo basito dell’ex vice-premier leghista – che nel frattempo aveva anche tentato di ricucire con i pentastellati – e …degli italiani.
Sì, gli italiani, che loro malgrado, assistendo agli incessanti insulti tra Pd e 5Stelle erano davvero convinti che tra le due forze politiche scorresse dell’odio. Basta ricordare – uno per tutti – il duro attacco di Di Maio al Pd, che definendolo ‘il partito di Bibbiano’ – sua esclusiva “licenza poetica” – ne escludeva, in assoluto, una futura alleanza. Ma anche lì…erano altri tempi, no?
Tornando invece alle previsioni difficili da azzeccare, impossibile non annoverare chi abbia vinto, nettamente, la partita dell’assegnazione dei ministeri. Non tanto nei numeri, quanto nei temi. Sono quelli, d’altronde, che definiscono la linea di un governo, e quella del “Conte bis” è chiara: OLTRE la sinistra. Per comprenderlo, basta volgere lo sguardo a Ministeri chiave come quello del Lavoro, della Sanità e della Famiglia.
Il primo va a Nunzia Catalfo, “madrina” della proposta di legge sul reddito di cittadinanza e sul salario minimo nella scorsa legislatura. Quel provvedimento – il reddito – che non aveva trovato d’accordo nemmeno il Pd di Renzi secondo cui “lo Stato deve creare lavoro non sussidi” ma che ebbe il sostegno di Leu, in quanto “misura universale di contrasto alla povertà; un fatto positivo che non va banalizzato”, dichiarava Roberto Speranza.
Lo stesso Roberto Speranza al quale è stato affidato il ministero della Salute. Lui, dichiaratamente non a favore dell’obbligo dei vaccini ma promotore di “un’adesione volontaria e consapevole” che potrebbe riaprire il divisivo e problematico tema della vaccinazione obbligatoria.
Ma a segnare la maggiore discontinuità col governo precedente, spostando l’asticella decisamente a sinistra, è il ministero della Famiglia e delle Pari Opportunità, affidato ad Elena Bonetti, docente universitaria vicina al mondo delle unioni civili. Dettagli non sfuggiti al senatore leghista Simone Pillon, molto vicino all’uscente ministro Fontana, che commenta così il nuovo arrivo: «La lobby LGBT festeggia la nomina di Elena Bonetti al ministero della famiglia, rievocandola tra gli autori della “carta del coraggio” che nel 2014 consegnò una parte significativa dello scoutismo cattolico italiano alle posizioni LGBT friendly di Renzi e delle sue unioni civili. Gli attivisti già chiedono la legge sull’omofobia per chiudere definitivamente la bocca a chi vorrebbe fermare la dittatura gender. E questo, onestamente, mi pare un pessimo inizio».
Di fatto, proprio per il suo spostamento a sinistra, qualcuno lo chiama il governo della rivalsa contro Salvini, molti considerano l’unico collante di questa formazione quello della paura per una deriva populista, nazionalista e xenofoba – di cui sempre Salvini era tacciato.
L’unica cosa certa, è che essendo un governo nato dopo 14 mesi dalle ultime elezioni governative, non rispecchia più lo scenario che l’esito delle successive elezioni regionali ed europee hanno delineato, e cioè un posizionamento di consensi decisamente a destra.
Questo però forse lo capiremo meglio lunedì, quando gli italiani di ogni colore politico si uniranno all’appello di Fratelli d’Italia contro il governo Conte bis, proprio mentre dentro Palazzo Montecitorio si voterà la fiducia…chissà se in quella occasione Piazza Montecitorio non sarà più eloquente del Palazzo?