Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, l’aveva annunciata quasi come la madre di tutte le rivolte. Venerdì 29 novembre erano state richiamate le masse per protestare contro il governo. Ma troppi fattori hanno impedito al sindacalista/politico di vedere realizzare i suoi sogni, più personali che di classe. Prima di tutto, perché forse i toni utilizzati dal segretario della Cgil sono stati fortissimi e sono stati valutati dalla maggioranza degli italiani come eccessivi. Secondo, per le motivazioni della stessa protesta: contrastare a priori un governo, contestare una legge di bilancio prima ancora di leggerla non deve essere stata una gran trovata. E gli italiani, questo, lo hanno ben capito. In primis perché la fiducia in certi sindacati e in certe proteste è calata vertiginosamente: molti italiani – lo dicono i sondaggi – ritengono questi ultimi scioperi delle mosse prettamente politiche da parte di Landini. Inoltre, gli italiani hanno accolto con favore la precettazione dello sciopero, che almeno è riuscita a ridurre in modo considerevole i disagi.
I danni provocati da Landini, alla fine dei conti, sono risibili: le percentuali di adesioni nelle maggiori industrie italiane, ma anche nei comparti pubblici, si sono rivelate molto basse. A Termoli l’adesione è stata 1,6%, al Comune di Milano hanno aderito 546 dipendenti su 13mila. A Reggio Calabria, solo tre su 700. I dati ufficiali di Inps e dei ministeri oscillano tra il 2% e il 4%. Nella scuola, si tratta di una percentuale inferiore al 3%. E pensare che Landini, da Bologna, hanno continuato a utilizzare quegli stessi toni aspri: “Rivolteremo il Paese come un guanto”, ha detto. Ma a quanto pare, anche stavolta, malgrado il beneficio di un week-end lungo, gli è andata male.
Nuove proteste degli antagonisti
Ma c’è comunque chi ha raccolto quel testimone. A Torino, sono andate in scena nuove proteste da parte dei soliti noti, gli antagonisti, centri sociali, collettivi. E le violenze non sono mancate: sono stati bruciati, di nuovo, le foto di Giorgia Meloni, di Matteo Salvini, di Guido Crosetto. Gli slogan erano quelli di sempre: “Al rogo al rogo” e “dimissioni dimissioni”. Poche le motivazioni concrete. I pro-Pal hanno lanciato uova, vernice rossa e fumogeni contro le forze dell’ordine schierate davanti al prefettura della città. Hanno cercato di sfondare il cordone delle forze dell’ordine, sferrando calci e pugni utilizzando le aste delle bandiere. Classiche giornate di ordinaria follia da parte degli estremisti di sinistra, che non hanno lasciato cadere nel vuoto l’invito alla “rivolta sociale” di Landini. Il quale, forse, non si era rivolto a loro, malgrado non abbia fatto poi granché per ammorbidire i toni e condannare quanti avevano già annunciato nuovi disordini. Nessuna condanna, né prima né dopo i fatti. E perché probabilmente non bastava, collettivi e centri sociali hanno fatto altro. Hanno voluto bloccare anche i treni, rei forse di essere rimasti fuori dallo sciopero generale (solo perché la loro protesta si era svolta già domenica scorsa). Studenti e pro-Pal hanno creato nuovi disordini alla stazione di Torino Porta Susa, scendendo sui binari e bloccandoli. E poi via, ancora altri scontri con la Polizia. Questo, dunque, l’esito della rivolta sociale di Landini: i rivoltosi hanno risposto all’appello, i lavoratori, i diretti interessati, hanno declinato l’invito.