Alle Ong dà fastidio il rimpatrio volontario: ricorso contro i fondi usati anche dalla sinistra

Ora le Ong ne hanno inventato una nuova: la protesta contro i rimpatri volontari. Sei un immigrato, il tuo Paese ha superato il periodo di crisi, politica o economica, per il quale eri fuggito e desideri tornare? Bene, puoi farlo liberamente, salvo poi trovarti degli attivisti delle associazioni umanitarie che ti bloccano la strada, magari prendendo spunto dai cugini ecologisti incollandosi le mani sull’asfalto, perché loro sanno cosa è meglio per te. E fidati, per te è meglio restare in Italia perché così hanno deciso. Alcune organizzazioni, che anche questa volta, come sempre, si sono coalizzate contro il governo, hanno adito addirittura le vie legali, rivolgendosi al Tar: i rimpatri volontari sarebbero illegittimi perché in realtà forzati, i migranti verrebbero messi nelle condizioni di scegliere di tornare in patria piuttosto che restare. Ma forse è ancora troppo difficile da capire nessuno, tutto sommato, vorrebbe lasciare la propria Nazione e il sentimento più comune quanto nobile è la volontà di vederla rifiorire.

Tra le organizzazione promotrici del ricorso al Tar c’è anche e soprattutto l’Asgi, la stessa organizzazione che stilò il famoso vademecum per le toghe rosse finalizzato a trovare le scorciatoie giuste per non spedire clandestini in Albania. Per l’Ansa ha parlato la socia Cristina Laura Cecchini: “Abbiamo presentato ricorso al Tar”, ha spiegato, perché “sosteniamo che sia veramente importante bloccare questa pratica, quella dei rimpatri volontari, dalla Libia, perché ormai è chiaro chi non vi sono le condizioni in Libia di poter fare dei rimpatri volontari. L’otto gennaio del 2025 ci sarà l’udienza sulla sospensione ed è un’udienza molto importante – ha aggiunto – perché chiediamo che, fintanto che non venga decisa nel merito la causa, questo uso dei fondi per i rimpatri volontari sia sospeso”. Li definisce “illegittimi” perché “non vi sono le condizioni in Libia per poter fare i rimpatri volontari”: “Non si tratta di rimpatri, ma di espulsioni mascherate”.

Albania, i lavori proseguono

Ma c’è qualcosa che non torna sui finanziamenti: si tratta di fondi che l’Europa mette a disposizione del nostro paese proprio per facilitare il rientro in patria dei vari migranti che lo vogliono. Fondi che adesso, e solo adesso, hanno fatto impazzire le associazioni e le organizzazioni non governative. Il Giornale questa mattina ha fornito le cifre. Il primo governo a ricevere queste risorse fu quello guidato da Paolo Gentiloni nel 2017: un finanziamento da 18 milioni di euro. Da premier Giuseppe Conte ottenne altri due milioni di euro: voi tutti i soldi che per due anni restarono a disposizione degli esecutivi di sinistra per i rimpatri volontari. Oggi il Governo Meloni, nello stesso arco temporale, ha ottenuto soltanto 3,5 milioni di euro. Non si comprende, a questo punto, l’ira delle associazioni.

Tutt’al più sembra soltanto l’ennesimo tentativo delle ONG di influenzare il lavoro dell’esecutivo in fatto di immigrazione specie dopo la la assoluzione di Matteo Salvini nel processo che la sinistra sperava si concludesse diversamente. Ma nonostante tutto il governo non cambia linea: dalla Lapponia il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha fatto sapere che il lavoro sui centri per il rimpatrio costruiti in Albania secondo l’accordo con Tirana siglato lo scorso anno, continuerà. Continuerà soprattutto dopo che la Corte di Cassazione ha di fatto confermato che è nelle mani dell’esecutivo la facoltà di inserire o meno un Paese all’interno della cosiddetta lista dei Paesi sicuri, aggiungendo che il giudice può esprimersi sul singolo caso, dunque sul singolo migrante, senza però la possibilità di derogare a suo piacimento alla lista stessa: “Mi pare che la Cassazione abbia dato ragione al governo italiano, è diritto dei governi stabilire la lista dei Paesi sicuri” ha detto la premier, spiegando che per gestire i flussi bisogna ragionare “out of box”, seguendo “un nuovo modo di affrontare questo problema”.

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