Altro che moderati. I Conservatori siano radicali

Ci dicono che non siamo abbastanza moderati, che siamo troppo “polarizzati” (neanche fossimo occhiali da sole) che dobbiamo essere più centristi e inclusivi, e aggiungendo che sarebbe la tabe di una destra italica puzzona, che non sa comportarsi nei salotti che contano, non sa stare a tavola o per meglio dire vuole sedervisi e non accetta che le si gettino i tozzi di pane sotto il desco, una destra che insomma non sarebbe “europea”, “moderna”, “civile”. Una destra “cattiva” insomma, da contrapporre a una buona – cioè a quella che perde le elezioni, fa vincere la sinistra o le è culturalmente subalterna.

Peccato che il rinvio al mittente di una destra moscia e senza d’identità, venga oggi, 13 novembre, dalla Bibbia del repubblicanesimo e del conservatorismo statunitense, e neanche quello sudato texano, che noi peraltro veneriamo, ma quello della Grande Mela, di Wall Street, insomma il Wsj: Why American Needs National conservatism, autore Christopher DeMuth.

Christopher DeMuth non è esattamente un populista trumpiano. Ha lavorato nell’amministrazione Reagan dal 1981, è un avvocato importante, è stato presidente del principale Think Thank conservatore dei tempi di Reagan, l’American Entrerprise Institute.

Dovrebbe quindi in teoria essere un never trumper, di quei repubblicani che, in nome di un malintesa e anche un po’ strumentale immagine di Reagan, hanno votato prima Hillary Clinton poi Joe Biden. La buona destra, quella che vota a sinistra, e la sinistra peggiore.

Al contrario, proprio perché DeMuth è rimasto un reaganiano, ora sostiene che i conservatori debbano essere nazionalisti, national conservative, appunto, e non a caso è tra i principali animatori del Think thank omonimo, cioè la Fondazione Edmund Burke, di cui abbiamo scritto qui più volte.

Perché i conservatori non possono essere più moderati, come erano ai tempi di Reagan? A parte che negli anni Ottanta ricordiamo bene i dem e soprattutto i comunisti italiani trattare Ronnie da “fascista”, indubbiamente un conto era lui un altro Trump. Ma questo perché, spiega De Muth, “quando la sinistra era liberale e riformista, i conservatori fungevano da moderatori del cambiamento. Anche noi abbiamo respirato l’aria del liberalismo e non pochi erano gli aspetti della società americana da riformare . Potevamo essere burkiani con una enfasi maggiore rispetto alla sinistra sui miglioramenti lenti, sulla continuità con il passato”.

Ma oggi…

Oggi, “la sinistra non è riformista. Non vuole costruire sul passato ma promuovere la instabilità, rovesciare la società” .

E allora come possono i conservatori essere “moderati”? A esserlo, si finisce, continua l’ex presidente dell’AEI, per esser “futili e controproduttivi”.

E’ “l’eccesso” che domina la politica di oggi, e i conservatori non possono estraniarsi dalla lotta. Come Burke nei confronti della Rivoluzione francese “noi dobbiamo reagire con altrettanto radicalità per combattere la rivoluzione”.

Si dirà, ma in Europa è diverso. Niente affatto. In Italia, sui temi cosiddetto “societali” (aborto, utero in affitto, gender…) sull’immigrazione, sulle politiche fiscali, il Pd è altrettanto radicale del suo omologo americano. Un mix di socialismo dei privilegiati, di assistenzialismo per le classi medio basse e non per i veri poveri (cosi è il reddito di cittadinanza), di tutela e rivendicazione di pretese di minoranze spacciate per “diritti”, e soprattutto una pesante vocazione autoritaria, statolatrica e questurina, ispirata, che lo sappiano o meno, al famoso slogan del ghigliottinatore Saint-Just “l’angelo” (sterminatore) dei giacobini, “pas d’ennemis pour les ennemis de la liberté”.

Questi vogliono calarci la testa (si spera, per ora, solo metaforicamente) dentro l’ovale e poi farla rotolare giù. E noi dovremmo attendere zitti e buoni l’ascensore per il patibolo?

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Marco Gervasoni
Marco Gervasoni
Marco Gervasoni (Milano, 1968) è professore ordinario di Storia contemporanea all’Università degli Studi del Molise, editorialista de “Il Giornale”, membro del Comitato scientifico della Fondazione Fare Futuro. Autore di numerose monografie, ha da ultimo curato l’Edizione italiana delle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia di Edmund Burke (Giubilei Regnani) e lavora a un libro sul conservatorismo.

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