Nei deliri più che ventennali di una Unione europea che ha costretto i Paesi più indebitati a essere sul lastrico e a rischiare il fallimento (Italia e soprattutto Grecia ne sanno qualcosa) con clausole vessatorie che, a dire il vero, continuano ancora oggi nel Patto di Stabilità, forse gli unici esempi di politica comunitaria positiva sono rappresentati dai piani di investimenti pubblici che l’Europa ha messo a disposizione dei vari Stati membri dopo la recessione pandemica. Il punto della questione è sostanzialmente questo: perché l’Europa continua con i suoi piani di austerità seguiti per anni pedissequamente dalla sinistra in virtù dello slogan “ce lo chiede l’Europa”, piuttosto che investire e mettere in moto le economie dei Paesi? Se utilizzati correttamente, i fondi pubblici possono rilanciare i mercati, il Mezzogiorno italiano sta rinascendo grazie all’apporto di politiche espansive che puntano sul ritorno al lavoro e sull’abbandono dei sussidi e dell’assistenzialismo, ma anche grazie a una corretta e funzionale gestione dei fondi europei giunti attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza e i Fondi di sviluppo e coesione per mitigare le differenze territoriali.
“Non c’è nulla di confortevole”
Qualcuno forse sta iniziando a capire tutto ciò. Anche nei ranghi più alti dell’Unione europea. Mario Draghi è tra questi: durante un convegno a Parigi in fatto di politica economica e fiscale, l’ex premier italiano e capo della Bce ha spiegato che non serve più a nulla la politica di austerità e di riduzione dei salari: bisogna “emettere debito congiuntamente” così da creare “uno spazio fiscale aggiuntivo da utilizzare per limitare i periodi di crescita inferiore al potenziale”. E si può arrivare a questo risultato soltanto in un modo soltanto: “aumentando gli investimenti pubblici”. Il pericolo è che “tra 25 anni l’economia avrà le stesse dimensioni di oggi e ciò significa un futuro di entrate fiscali stagnanti e di avanzi di bilancio per evitare che il rapporto debito/Pil aumenti”. Perché “sarebbe rassicurante credere che questi problemi non siano così gravi come sembrano e che, essendo un continente ricco, l’Europa possa entrare in una fase di declino gestito e confortevole. Ma in realtà non c’è nulla di confortevole”. In altre parole, c’è assoluto bisogno di investire prima di essere fagocitati da potenze più competitive di noi, una su tutte la Cina.
L’Europa, insomma, non può più permettersi di essere un gigante burocratico che blocca la produzione delle piccole e medie imprese che in maggioranza la compongono, specie con riferimento alla nostra Nazione. C’è bisogno di una svolta di cui il Pnrr può essere il miglior esempio in questo momento. Raffaele Fitto, neo-vicepresidente esecutivo della Commissione europea, dal palco di Atreju, ha spiegato del resto che occorrono “investimenti, riforme”, occorre “adeguarsi a uno scenario nuovo” e “ai problemi conseguenti alle grandi questioni geopolitiche”. E molto, in questo processo, dipenderà dai risultati che otterrà l’Italia nel Pnrr, avendo ricevuto il più alto ammontare economico. “L’Italia – ha detto infatti Fitto – è fondamentale nel successo di questa sfida e rappresenta una grande opportunità per lo scenario futuro”.
Sembra strano che la svolta di Draghi sia arrivata soltanto dopo che la Germania sta vivendo la sua più grande recessione economica e soprattutto industriale dal dopoguerra, ma sarà soltanto un caso. Quello che è strano è che le parole di Draghi arrivano in un periodo in cui chi è sempre stato contrario a certe politiche di austerità è arrivato alla guida pressocché di tutti i Paesi europei e dell’Europa stessa.