Antifascismo e anticomunismo: la Grande Bugia della sinistra

A sinistra sono ancora convinti di poter dispensare patenti di democrazia. Il bello è che continuano a crederci nonostante le scoppole che prendono ad ogni appuntamento elettorale. Infatti, non appena annusano la malparata, raggiungono vette altissime di ipocrisia definendo le elezioni «un pericolo per la democrazia» (New York Times dixit, qualche giorno fa).

Per intenderci, è un po’ come se una società calcistica, una volta resasi conto di aver allestito una squadra poco competitiva, definisse «pericolo per il calcio» il campionato o la Champions League.

Accedere all’arco costituzionale che fluttua nelle menti di questi “democratici” è semplice, basta soddisfare un solo criterio: pensarla esattamente come loro. Chiunque osi dissentire anche soltanto su una virgola del pensiero unico woke è automaticamente fascista e, in quanto tale, non ha alcun diritto di ottenere l’apposito Red Pass che consente l’accesso ai salotti buoni ed al Quirinale nonché tutta una serie di facilitazioni tra cui l’essere trattati con i guanti bianchi dai media cosiddetti mainstream.

In virtù di cotanto senso di democrazia, per i signori del Partito Democratico e affini gli avversari hanno il dovere di dirsi antifascisti, ma loro non sono tenuti a definirsi anticomunisti nonostante i circa 100 milioni di morti (stima al ribasso) causati dai regimi comunisti che hanno seminato morte, povertà e terrore ovunque abbiano preso il potere.

Diciamo che chiunque, oggi, si ostini a negare i crimini del comunismo qualche problemino con il concetto di democrazia dimostra di averlo, o no?

Ebbene, in questo caso la patologia è acuta al punto che costoro sono arrivati a contestare la risoluzione con cui il Parlamento Europeo condanna i regimi totalitari nazisti e comunisti oppure – mi limito a citare l’ultimo di una serie innumerevole di casi – ad attaccare rabbiosamente Gennaro Sangiuliano per averli esortati a definirsi anticomunisti.

Le loro reazioni scomposte confermano che il Ministro li ha toccati nel vivo, poiché il retaggio comunista è tutt’ora alla base del loro agire, che infatti è fondato su pilastri come la delegittimazione sistematica dell’avversario (che diventa nemico) e la mistificazione della realtà.

In termini di comunicazione, l’operazione – senz’altro intelligente, dal loro punto di vista – più importante che hanno compiuto è di tipo semantico: hanno cambiato, cioè, significato ad alcune parole trasformandole in armi per la lotta politica nonché in strumenti di autolegittimazione.

Primo esempio: antifascismo = comunismo

Al termine antifascismo hanno dato un significato opposto a quello letterale: in nome di quello che dovrebbe essere un valore universale di libertà contro l’oppressione dei totalitarismi (in questo caso quello del regime fascista) sono stati invece compiuti i regolamenti di conti nel dopoguerra, ammazzati ragazzi negli anni di piombo e messe a ferro e fuoco intere città negli anni duemila.

Le parole sono fondamentali: il torto più grande è stato fatto all’antifascismo, quello autentico, poiché, essendo utilizzato dalla sinistra alla stregua di una clava ideologica con cui eliminare l’avversario, ha finito con l’assomigliare sempre di più al fascismo stesso rivelandosi, alla lunga, per ciò che in realtà è: comunismo spacciato per antifascismo. Ergo, una forma di totalitarismo.

Ovvio che chi, come il sottoscritto, è animato dai valori che stanno alla base della Civiltà Occidentale (sacralità della vita, libertà e dignità della persona) non possa aderire a questo antifascismo, poiché significherebbe legittimarne il significato che la sinistra gli ha attribuito nonché i crimini che in nome di esso sono stati compiuti.

Secondo esempio: Costituzione = Red Pass

Nell’ambito di tale strategia, che possiamo definire Grande Bugia, rientra anche la Costituzione, che viene continuamente tirata per i capelli per difendere la narrazione costruita ad hoc dalla sinistra: ogniqualvolta cominciano con la pantomima dell’antifascismo, affermano che la Carta Costituzionale è antifascista sottintendendo, così, che attinga ai loro valori palesemente contrari alla libertà, il che grazie al Cielo è falso.

In questo caso il torto lo fanno alla Costituzione che, essendo democratica, è fisiologicamente antifascista e anticomunista poiché proclama la libertà di voto e d’espressione, nonché il pluralismo dei partiti: diritti del tutto incompatibili con qualsivoglia forma di totalitarismo, fascista o comunista che sia.

Terzo esempio: Anticomunismo vs «in Italia il comunismo ha sconfitto il fascismo e non ha governato»

Anzitutto, l’obiettivo dei comunisti italiani non era sostituire il fascismo con la democrazia, ma con un’altra dittatura, quella comunista. Ergo, i comunisti italiani non perseguivano la democrazia, ma l’attuazione del comunismo. Una volta compreso che ciò non fosse possibile, è scattato il Piano B descritto in precedenza.

Al netto di questo, sostenere che non è necessario essere anticomunisti perché in Italia non c’è mai stato un regime comunista equivale ad affermare che al di fuori della Germania non è necessario essere antinazisti.

Ciò detto, è ovvio che chiunque abbia militato in buona fede nel Partito Comunista Italiano facendo gli interessi della propria comunità senza prevaricare avversari politici sia degno di rispetto assoluto.

Così come, parimenti, deve esserlo chi, con altrettanta buona fede, ha militato e fatto politica nelle fila del Movimento Sociale Italiano: in entrambi i casi siamo di fronte a persone che hanno agito nel perimetro della democrazia anche se animate da principi post-ideologici.

Sono convinto che, in un dibattito libero dalle enormi contraddizioni della Grande Bugia, gli uni e gli altri non avrebbero alcuna difficoltà a definirsi antifascisti e anticomunisti, sentendosi così liberi di tornare a dividersi non più su questioni pregiudiziali, ma sul piano delle idee, nel reciproco rispetto. Si chiama democrazia.

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Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente di marketing digitale, docente alla IATH Academy, è autore di 9 libri. È stato inviato di Vanity Fair alle elezioni USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

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