La caduta del governo gialloverde ha creato certamente uno shock nel paese e tra la gente anche per il modo in cui si è interrotta questa esperienza di governo e per la decisa avversità del Presidente della Repubblica rispetto alla ipotesi di ricorrere a nuove elezioni per garantire una maggioranza coesa ed omogenea alla nazione.
La caduta del primo governo Conte è stata determinata, lo dicono anche i protagonisti, anche e soprattutto per la convinzione maturata dagli esponenti della Lega che l’autonomia differenziata a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, non sarebbe stata concessa adottando pedissequamente le bozze presentate al governo. Non è un mistero che molti a Destra, ed io fra questi, sono assolutamente contrari a questo progetto sin da quando D’Alema, allora capo del governo, attraverso la riforma nel 2001 del Titolo V della parte II della Costituzione, con un obiettivo politico che era quello di compiacere la Lega nel tentativo di spostare a sinistra la sua collocazione politica, ne spianò la strada.
Con quella riforma si individuarono un elenco di materie – che la stessa norma costituzionale definisce “di legislazione concorrente” – in cui “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato” (art. 117, terzo comma) dando la stura alle spinte regionali autonomiste. Tornando alla attualità io credo che il governo Conte bis o Conte 2.0 naturalmente rallenterà questo processo e questo ci dà il tempo per una articolata riflessione che deve aiutarci a elaborare una posizione che possa rafforzare una politica di coesione nazionale salvaguardando l’identità, l’unità e lo sviluppo armonico dell’Italia.
Un partito come Fratelli d’Italia, i cui iscritti si chiamano tra di loro Patrioti, non può accettare il disegno separatista previsto nel pre-accordo del governo Gentiloni con le regioni richiedenti, firmato, tra l’altro, quando la scorsa legislatura si avviava a conclusione ed in un periodo nel quale normalmente i governi si dedicano al solo disbrigo degli affari correnti. Dobbiamo, quindi, approfittare di questo momento di stasi sull’argomento creando una forte spinta interna a Fratelli d’Italia per spingere il partito ad assumere una posizione critica verso l’autonomia a favore di una politica di maggiore coesione nazionale. Bisogna tener presente che in questi anni, nonostante i tanti proclami, il gap economico, infrastrutturale e sociale ha reso il nord ed il sud più distanti. Basti pensare che la gravità della spaccatura tra le differenti aree del Paese ha reso l’Italia una mera espressione geografica così come emerge chiaramente dall’ultimo Rapporto sul benessere equo e sostenibile (Bes), elaborato e presentato dall’Istat.
Troppe le differenze profonde che caratterizzano il territorio ancora oggi nonostante che lo stesso sia unificato da oltre 150 anni, mondi diversi con un dato incredibile legato alla circostanza che anche quando il paese nel suo complesso ha fasi di crescita la differenza tra sud e nord rimane invariato. Tutto ciò è inaccettabile. Tutto ciò non è dovuto al fatto che al sud ci sono amministratori incapaci o ladri come certa propaganda vuol far credere, del resto personale politico con queste caratteristiche è ovunque anche al nord, come numerosi episodi di cronaca hanno mostrato, né è possibile immaginare che tutto si risolverebbe per incanto con l’autonomia differenziata perché in questo modo gli amministratori sarebbero maggiormente responsabilizzati.
L’autonomia di Zaia attacca in maniera diretta l’obiettivo costituzionale di una riduzione del divario strutturale Nord-Sud con il dichiarato scopo di consolidare il divario abbandonando al suo destino la parte debole del paese considerata a poco più di una colonia. Infatti, il pre-accordo firmato dal Governo Gentiloni prevede di privilegiare, nella distribuzione delle risorse, le tre regioni richiedenti l’autonomia tenendo conto delle entrate tributarie di quei territori sancendo di fatto che non è più vero il principio previsto in Costituzione e cioè che i cittadini della Repubblica sono uguali, a prescindere dal luogo di residenza. Questo processo portato avanti in questo modo ci porterebbe ad avere in Italia, facendoci tornare indietro nei secoli, una miriade di staterelli, ciascuno esercitante potestà legislativa, ciascuno capace di attuare nell’ambito del proprio territorio riforme differenti da quelle adottate nella stessa materia della vicina o lontana regione.
C’è qualcuno che crede davvero che le regioni dotate di autonomia differenziata non modificheranno profondamente le strutture dello Stato italiano? Nessuno ha pensato che il Parlamento non avrà più l’autorevolezza e, soprattutto, la piena rappresentanza dell’intero popolo italiano quando si dovrà misurare con la volontà politica e la capacità legislativa delle regioni autonome? Questo è il quadro che si potrebbe definire e sarebbero responsabilità pesanti per tutti coloro i quali non dovessero esprimere il proprio dissenso e che mi auguro neanche Fratelli d’Italia si voglia assumere. Io credo che l’autonomia vada anche fermata perché per il principio di invarianza di spesa imposto dal MEF qualunque maggiore risorsa trasferita alle tre regioni sarà diminuita alle altre senza che nel contempo ci siano strumenti per le politiche di riequilibrio tese a riavvicinare il Sud al Nord e poi perché vengono sottratte materie essenziali per l’unità e l’identità del Paese, come la scuola.
Un uomo di Destra non può accettare che si costruisca un paese sulle diseguaglianze tra territori, che anche oggi esistono, ma che soprattutto per norma non ci sia la possibilità di superarle così come vorrebbero Zaia, Fontana e Bonaccin. Per costruire la nostra proposta politica dobbiamo ripartire dalla posizione storica in materia della Destra italiana che è quella di non negare in toto le autonomie o i principi delle autonomie, perché si punta a rafforzare il sistema degli enti locali, province e comuni, con l’abolizione delle regioni. La risposta più utile, a mio avviso, a garantire una efficiente governance del territorio è quindi avviare un processo di decentramento utile alle popolazioni, mentre le regioni sono sempre e solo state utili alle clientele politiche mentre oggi sono utilizzate a fini sovversivi da coloro che vogliono l’autonomia differenziata.