Secondo la deputata ”ciò consentirà a molte banche di ampliare gli impieghi, tra cui fidi sul conto corrente, crediti personali e anticipi all’esportazione, crediti ipotecari e mutui, nel rispetto dei requisiti di capitale degli accordi di Basilea, che fissano limiti al rapporto tra capitale e impieghi. Ipotizzando che una banca sia di fronte all’alternativa tra il versare un’imposta
dovuta di 100 milioni e procedere a un accantonamento in riserva pari a 250 milioni, questa seconda scelta la metterà nelle condizioni di erogare maggiori prestiti secondo un multiplo in media di poco inferiore a 15, quindi pressappoco per valori dai 3,3 ai 4 miliardi”.
Questi impieghi, prosegue Giorgianni, ”diversamente dal versamento dell’imposta che avverrebbe in un solo anno, daranno luogo a ricavi pluriennali facilmente attestabili al 5% annuo. Tali ricavi, a seconda delle stime sull’entità degli impieghi erogati grazie a questa accresciuta riserva, potranno andare da 830 milioni a 1 miliardo nel quinquennio a venire. E su di essi le banche naturalmente dovranno versare imposte, stimabili tra i 275 e i 300 milioni sull’arco del
quinquennio”.
”Ecco che, grazie a questo fattore moltiplicativo degli impieghi consentito dalla scelta di alimentare le riserve in alternativa al pagare l’imposta una tantum sugli extraprofitti, garantiremo nel complesso introiti fiscali superiori per un periodo di durata maggiore anche da parte delle banche che avranno optato per l’accantonamento in riserve non distribuibili”, conclude.