Banche, il conto della crisi: 11 default in tre anni

Negli ultimi anni in Italia sono andate a gambe all’aria 11 istituti bancari, ma qual è stato il costo dei contribuenti per salvare le banche nell’ultimo decennio? Da stime ufficiali sembra che il costo del fallimento delle Banche in Italia abbia raggiunto la cifra record di 34 miliardi.

Volendo ripercorrere brevemente la storia degli ultimi anni, il «paziente zero» dell’epidemia bancaria italiana si chiama Mps, che “vanta” la più grave e la più lunga crisi bancaria, ancora aperta. Scandali, inchieste, aumenti di capitale, operazioni sprovvedute e spericolate riducono il più antico istituto bancario in un colabrodo. L’Istituto ha finora assorbito risorse per 30 miliardi, imponendo alla fine l’ingresso nel capitale dello Stato come socio di maggioranza. Sono ancora in corso i confronti con la Commissione europea e la Bce sulle modalità del salvataggio. La causa, ben nota, fu l’azzardato acquisto di Banca Antonveneta. Quando, nel 2011, erano già in piena evidenza gli effetti deleteri dell’acquisizione, lasciò interdetti la nomina del maggiore responsabile a Presidente dell’ABI. Il rafforzamento patrimoniale di Rocca Salimbeni pesa per 5,4 miliardi sulle casse pubbliche, a cui aggiungere 3,2 miliardi impiegati sotto forma di Gacs (garanzie sulle cartolarizzazioni delle sofferenze). Calcolatrice alla mano, vuol dire che per Siena la spesa è ammontata a 8,6 miliardi.
Oltre che al Monte dei Paschi,il governo italiano, con denaro pubblico, è intervenuto soprattutto nella partita delle due banche venete, acquisite a giugno del 2017 dal Gruppo Intesa Sanpaolo dopo la liquidazione coatta amministrativa.

Per il salvataggio delle banche venete finiremo per dover utilizzare 17 miliardi di risorse pubbliche, quando lo stesso risultato poteva essere raggiunto, intervenendo in maniera tempestiva e risoluta, con costi molto più limitati e senza mettere a repentaglio l’intero sistema bancario italiano.

Avremmo evitato la crisi di fiducia dei risparmiatori, il panico, la corsa agli sportelli, il fallimento di istituti bancari che, per quanto piccoli, assolvevano alla loro funzione di banca del territorio

In trenta mesi, così in Italia, sono finite a gambe all’aria 11 banche. Dopo Banca Etruria e le altre tre banche(Banca delle Marche, CariChieti e CariFerrara) è toccato alle Venete e poi alle Casse di Risparmio di San Miniato, Rimini e Cesena, che un anno fa sono state messe in sicurezza dal Crédit Agricole. La settimana scorsa è toccato alla Carige, che ha chiesto aiuto al Fitd (Fondo interbancario e quindi risorse private). Infine Monte dei Paschi di Siena, la cui partita è ancora aperta.

Il costo del fallimento delle banche ha raggiunto una cifra vertiginosa eppure secondo l’Ufficio studi della Cgia il sistema creditizio continua a premiare chi, in buona parte, ha causato questo dissesto, le banche infatti continuano a favorire le grandi imprese. Il nostro sistema creditizio continua a premiare chi, in buona parte, ha causato questo dissesto: ovvero le grandi famiglie industriali, i gruppi societari e le grandi aziende.

Gli ultimi dati disponibili della Banca d’Italia (riferiti al 30 settembre 2017) dicono che la quota di prestiti ottenuta dal primo 10 per cento degli affidati (vale a dire la migliore clientela che certamente non è costituita da artigiani, piccoli negozianti, partite Iva o piccoli imprenditori) è pari al 79,8 per cento del totale. Per contro, il restante 90 per cento dei clienti ottiene poco più del 20 per cento degli impieghi.

E’ proprio il caso di dire che la storia non ci ha insegnato niente.

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Letizia Giorgianni
Letizia Giorgianni
O te ne stai in un angolo a compiangerti per quello che ti accade o ti rimbocchi le maniche, con la convinzione che il destino non sia scritto. Per il resto faccio cose, vedo gente e combatto contro ingiustizie e banche. Se vuoi segnalarmi qualcosa scrivimi a info@letiziagiorgianni.it

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