«Troppe università e sistemi scolastici si dedicano all’indottrinamento radicale di sinistra e non all’educazione. Per questo sto per chiedere al dipartimento del Tesoro di riesaminare le loro esenzioni fiscali…».
La tocca piano Donald Trump, in un tweet del 10 luglio. E poi continua, minacciando tagli ai finanziamenti, «che verranno tolti se questa propaganda o questo incitamento ad agire contro le cose pubbliche dovesse continuare. I nostri ragazzi devono essere educati, non indottrinati!». Il presidente americano non è nuovo a queste battaglie. Già lo scorso anno – il 21 marzo – Trump aveva firmato un ordine esecutivo che minacciava i campus universitari di taglio dei fondi pubblici nel caso in cui al loro interno fosse stata limitata la libertà di espressione.
«Anche se le università hanno ricevuto miliardi e miliardi di dollari dai contribuenti, in molti casi sono diventate sempre più ostili alla libertà di parola e al Primo Emendamento», ha dichiarato Trump alla cerimonia della firma dell’ordine esecutivo, riferendosi all’emendamento della costituzione statunitense che difende la libertà di espressione.
«Queste università hanno cercato di limitare il libero pensiero, imporre il conformismo più totale e chiudere la bocca ai migliori giovani americani». Lo Stato centrale americano stanzia ogni anno una cifra intorno ai 35 miliardi di dollari in borse di studio, ricerca e istruzione ma l’accesso a questi fondi non è automatico per il sistema scolastico.
Tuttavia, nel caso di questo ordine esecutivo, la sua attuazione trova ostacoli nella burocrazia americana, che spesso è composta di funzionari fedeli più all’ideologia liberal che alla Costituzione e dunque propensi a giudicare bonariamente le violazioni del diritto d’espressione imposte dall’ideologia del politicamente corretto al quale aderisce la stragrande maggioranza dei docenti. Uno studio del 2018 di Mitchell Langbert ha inoltre evidenziato come il rapporto fra professori democratici\liberal e quelli repubblicani\conservatori nei campus americani sia di ben 13 a uno.
Nelle università americane i doppi standard di giudizio portano a tollerare che alcuni docenti sostengano apertamente la necessità della scomparsa dell’uomo bianco, mentre un professore può aver problemi seri se dovesse «sbagliare» il pronome che uno studente si è scelto perché «non si identifica» con quello corrispondente al proprio sesso biologico.
La scorsa settimana rivolgendosi a una folla al Monte Rushmore durante la festa americana del Giorno dell’Indipendenza (4 luglio), Trump ha dichiarato che «ai nostri figli viene insegnato a scuola a odiare il proprio paese e a credere che gli uomini e le donne che lo hanno costruito fossero non eroi, ma persone malvagie».
«Rifiutiamo vocabolari oppressivi, censura, politicamente corretto e ogni altro tentativo da parte della sinistra radicale per impedire alle persone di contestare idee ridicole e pericolose», aveva detto Trump commentando un’aggressione a un giovane militante repubblicano pestato durante un volantinaggio a Berkeley nel 2019: «Invece crediamo nella libertà di parola. Anche online e anche nei campus».
La battaglia di Trump contro le distorsioni ideologiche nelle università e nelle scuole non sembra una uscita meramente elettorale: al momento – stando ai sondaggi – fra i laureati Trump sembra avere oltre 20 punti di svantaggio rispetto al suo sfidante. La lotta per la libertà di espressione e di insegnamento appare dunque come una campagna di lungo periodo, per rovesciare l’indottrinamento antinazionale e autodistruttivo dei campus americani.