Nonostante il tanto auspicato cambio di passo governativo, anche con il Governo Draghi si brancola nel buio, lo vediamo con le nuove misure che dovrebbero in qualche modo sollevarci dalla crisi, ma che in realtà non appaiono decisamente all’altezza di quello che ci è stato proposto come il Governo dei migliori.
Tra le tante pieghe a non convincere del Decreto Sostegni c’è anche quella dell’ennesima proroga del blocco dei licenziamenti individuali per motivi economici e collettivi fino al 30 giugno 2021. Per le aziende, poi, che fruiranno dei trattamenti di integrazione salariale a far data dal 1° aprile, lo stop è ulteriormente spostato fino al 31 ottobre 2021.
E’ passato più di un anno dall’inizio della pandemia e siamo ancora al punto di partenza. In un contesto caratterizzato da un’economia in stallo in moltissimi settori, si continua a vedere nel divieto di licenziamento l’unico strumento per evitare la deriva sociale aggravata dal Coronavirus. L’Italia è l’unico paese europeo ad aver introdotto un blocco assoluto dei licenziamenti; in contrasto con le disposizioni comunitarie, infatti, il legislatore ha avocato a sè la scelta insindacabile di adottare decisioni che competono unicamente all’imprenditore. Ma servirà davvero a qualcosa?
In una situazione drammatica come quella che stanno vivendo adesso le piccole imprese, appare evidente che il mantenimento dei livelli occupazionali non può e non deve ottenersi con le tasche degli imprenditori,ma dovrebbe essere la naturale conseguenza di misure durature nel tempo che possano permettere di pianificare e programmare le attività delle imprese, anche perchè i divieti non potranno durare all’infinito e allo scadere degli stessi si calcola già una riduzione degli occupati stimata nella misura tra il 5 ed il 7%.
Inoltre, nonostante “misure di guerra” come questa, (il blocco dei licenziamenti fu adottato anche nel periodo dell’immediato dopoguerra) l’Istat ci consegna un report a dir poco allarmante: quasi 1 milione di posti di lavoro persi a causa delle conseguenze economiche della pandemia e delle restrizioni per contenere i contagi. E questo nonostante la misura del blocco dei licenziamenti.
Magari la perdita occupazionale sarebbe stata maggiore senza il divieto di licenziamento. Ma occorre anche ragionare che se è più difficile licenziare, le imprese saranno anche più prudenti ad assumere (anche se in tempo di crisi, le assunzioni calano comunque notevolmente). Inoltre, licenziare costa, in termini di procedure, Tfr, indennizzi e possibili ricorsi. Mentre con l’accesso alla cassa integrazione semplificato, un’impresa non ha vantaggio economico a licenziare, anche senza un divieto formale, perché il costo del lavoro può essere interamente trasferito allo stato.