Nonostante gli avvertimenti degli ispettori del fondo monetario internazionale, la manovra non cambia. Confermate stime sulla crescita e clausole di salvaguardia più stingenti per far sì che il deficit programmatico per il 2019 resti entro il 2,4%; confermate inoltre dismissioni del patrimonio statale che dovrebbero passare dai 10 miliardi già stabiliti a 18 miliardi nei tre anni.
Questa la sintesi del Consiglio dei ministri appena tenutosi a parte, nota mica tanto a margine, che il governo è andato sotto riguardo al condono per Ischia, dove al Senato Gregorio De Falco ha votato con l’opposizione e la senatrice Nunes si è astenuta. Entrambi sono stati espulsi dal gruppo del Movimento 5stelle, e i probiviri dei grillini prossimamente decideranno il loro futuro. I due potrebbero anche essere espulsi dal partito, anche se considerando la risicata maggioranza giallo-verde al Senato, non si sa bene per chi sarebbe peggio. Di Maio, intanto, mastica amaro, perché è stato lui a volere a tutti i costi questa manovra su Ischia inserita nel decreto Genova, rifiutandosi di ammettere che di condono si tratta, nel classico modus operandi pentastellato che vede gli esponenti del partito dire tutto e poi fare tutto il contrario con l’approvazione della base che non capisce, ma che è comunque “favorevole”.
Intanto, seppure senza eccessivo clamore, qualcuno sostiene che anche se di poco, la manovra cambierà, se non altro per accontentare almeno un pizzico le pressanti richieste di Bruxelles. Pare che il governo voglia chiedere alla UE lo scomputo dal disavanzo di circa 5 miliardi di euro. A modificare la manovra potrebbe essere infatti un capitolo nuovo di spesa da inserire riguardante gli interventi per contenere il dissesto idrogeologico, da considerarsi “misura eccezionale”. Vorrebbe dire che non cambia nulla se non il modo di presentare la questione, ma questo secondo il governo potrebbe accontentare l’Europa, perché, se così fosse il deficit risulterebbe ridotto dal 2,4 al 2,2 del Pil, che per la UE potrebbe anche significare un arretramento in territorio sicuro. Alla luce dei fatti, bisognerà ora vedere come la UE prenderà la formale apertura italiana, se si riterrà soddisfatta anche se magari ancora preoccupata, o vedrà in questa mossa quasi un attacco del governo giallo-verde. Anche perché Salvini è tornato a dire: “Se va bene all’Europa siamo contenti, sennò tiriamo dritti”, aggiungendo subito dopo che quella italiana era una manovra “all’attacco”, e non difensiva,quindi quasi suggerendo alla UE come debba considerarla perché, una volta tanto, l’Italia non è disposta a farsi intimidire o a tornare sui suoi passi.
Resta il fatto che ieri per il governo non è stato un buon giorno. A parte la figuraccia al Senato, dove sono bastati due ribelli a mandarlo sotto, è arrivata anche la bocciatura del Fondo Monetario, che con le sue stime indica il deficit per il 2019 al 2,6% , il debito stabile al 130% del Pil nel triennio 2019/2022, con una crescita striminzita intorno all1%, il che lo porta a giudicare non efficace la manovra.
C’è poi da dire che mentre governo e UE litigano, le banche italiane continuano ad aumentare i tassi sui nuovi mutui. Da giovedì alla pattuglia delle banche che ha già modificato il tasso, si è unita anche Unicredit che aumenterà il costo dei suoi nuovi mutui a tasso fisso tra i 10 e i 30 punti base, mentre saranno 20 punti quelli per il tasso variabile. E se ancora non bastasse, alcune associazioni di consumatori annunciano che i tempi per la concessione di un mutuo si stanno sempre più dilatando. Secondo i commentatori, la situazione sarebbe frutto di varie contingenze, tra cui il braccio di ferro in corso tra UE e governo sulla manovra di bilancio.