Brexit: la May proverà a cambiare le regole, ma l’Europa da quell’orecchio non sente…

Lei ci ha provato. Molto poco “signora di ferro” alla maniera thatcheriana, Theresa May si è cosparsa il capo di cenere e davanti ai Commons  ha detto che si sarebbe prodigata per modificare l’accordo Brexit soprattutto per quanto riguarda la questione irlandese, là dove in precedenza aveva sostenuto anche con durezza che non avrebbe accettato di ridiscutere nulla.

Alla fine, però, Theresa è addivenuta a più miti consigli. A soli 59 giorni dall’accordo, i parlamentari hanno approvato un emendamento sostenuto dal governo, presentato dall’anziano Tory Graham Brady, che promette di sostituire il cosiddetto “blocco irlandese” con “disposizioni alternative” ancora da precisare.

Ma se Theresa ha capitolato, notizie diverse arrivano dall’Europa, dove Donald Tusk, presidente del consiglio europeo, fa sapere che la UE non è pronta a riaprire nessuna discussione in merito all’accordo già raggiunto. “Quanto stabilito” ha detto il suo portavoce, “rimane il migliore ed unico modo per garantire un ritiro ordinato del Regno Unito dall’Unione europea. Il backstop fa parte dell’accordo di ritiro e l’accordo di ritiro non  è aperto alla rinegoziazione.  Per Leo Varadkar, il capo del governo irlandese, la UE deve “mantenere la calma”, anche se non è chiaro il senso di questa affermazione, visto che gli unici veri mal di pancia in questo momento ci sono in Gran Bretagna mentre la UE mostra quasi una certa sufficienza verso tutta la situazione.

In una drammatica giornata a Westmister, la Camera dei Comuni  ha detto chiaramente alla May che non avrebbe più appoggiato il governo se si fosse ostinata a perseguire una Brexit senza accordo. A questo punto, Theresa ha dichiarato: “Ora è chiaro che esiste una strada che può garantire una maggioranza sostanziale e sostenibile per lasciare la UE trovando un altro tipo di accordo”, come se fino a quel momento non lo avesse compreso. Il primo ministro ha poi sottolineato le protezioni per i diritti dei lavoratori, oltre ad accettare i cambiamenti nel backstop sempre con la speranza di conquistare i parlamentari laburisti. Ha poi terminato il suo intervento promettendo a tutti di continuare a “combattere per la Gran Bretagna”.

Il leader laburista Jeremy Corbyn, da parte sua, ha invece affermato che incontrerà Theresa May dopo che sarà stato approvato l’emendamento contro il no-deal Brexit. Come si ricorderà, precedentemente Corbyn aveva rifiutato l’invito del primo ministro per discutere il vecchio accordo che ora non è più sul tavolo.

La May intanto ha chiesto tempo rassicurando i parlamentari che cercherà di riportare un accordo rinegoziato che stavolta il parlamento possa approvare con un “voto significativo” il prima possibile. Se non dovesse riuscirci entro il 13 di febbraio, il governo presenterà una dichiarazione su cosa intende fare  e consentirà ai parlamentari di votare  già il giorno seguente. Il governo ha evitato una serie di tentavi da parte dei backbenchers di riuscire a minare ancora possibili accordi. Quattordici ribelli laburisti hanno aiutato la May ad ostacolare il tentativo di Yvette Cooper di  condurre in porto un progetto di legge che avrebbe creato al governo non pochi problemi riportando d’attualità l’articolo 50 per riaprire l’allungamento dei tempi di Brezit, con gli elevati costi di bilancio che ciò comporterebbe per il Regno Unito. Laburisti e conservatori scontenti sono però riusciti insieme a far passare un emendamento secondo cui non sarà accettato un risultato senza accordo.

La May ha fatto ripetutamente notare che l’accordo di Brexit – 585 pagine – firmato dai leader della UE in occasione del summit speciale di novembre, non è comunque aperto alla rinegoziazione, “particolare” che molti parlamentari inglesi sembrano proprio non voler comprendere ma, allo stesso tempo, ha esortato i suoi stessi backbenchers  a sostenere un emendamento che  respingesse  l’aspetto più combattuto della situazione: Il backstop irlandese.      Presentato da Brady, l’emendamento è stato approvato con 317 voti a favore contro 301, con una risicata maggioranza di 16. La May aveva detto in precedenza che una vittoria avrebbe “inviato un chiaro messaggio a Bruxelles su ciò che la Gran Bretagna vuole vedere cambiare nell’accordo di ritiro per poterlo poi supportare “.

C’è comunque chi continua a gettare olio su fuoco. Funzionari europei a Bruxelles hanno suggerito, anche prima che fosse approvato l’emendamento Brady, che la riapertura dell’accordo di ritiro fosse impossibile mentre backstender Tory sostengono che in realtà membri del partito del primo ministro si stiano preparando a votarle contro anche nel caso riuscire nella rinegoziazione, mettendo quindi fine alla carriera di Theresa.

Il seguito alla prossima puntata…

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RK Montanari
RK Montanarihttps://www.lavocedelpatriota.it
Viaggiatrice instancabile, appassionata di fantasy, innamorata della sua Italia.

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