Bye bye Haniyeh

Gli attacchi terroristici del 7 ottobre del 2023 perpetrati da Hamas in territorio israeliano ed effettuati con brutali uccisioni di civili innocenti, sequestri e stupri, hanno scatenato la reazione militare dello Stato d’Israele nella Striscia di Gaza, che dura ormai da parecchi mesi. Dall’anno scorso ad oggi, i governi occidentali, in particolare gli Stati Uniti e l’Italia, hanno sempre riconosciuto il diritto di Israele a difendersi in generale da tutte le minacce terroristiche che mettono a repentaglio sicurezza ed esistenza dello Stato ebraico, e a reagire dinanzi al sangue sparso da Hamas il 7 ottobre. È stato solo consigliato a Gerusalemme di non fare il gioco degli integralisti, cioè, Hamas, i libanesi di Hezbollah e l’Iran, supporter dei primi due, i quali vogliono che il sangue scorga di continuo fra ebrei e musulmani. Essi lottano in modo sistematico contro ogni tentativo di distensione fra Israele e parte del mondo arabo, perseguono l’isolamento israeliano in Medio Oriente e vogliono il naufragio completo degli Accordi di Abramo, stipulati fra Gerusalemme e alcuni Paesi del Golfo Persico come Emirati Arabi Uniti e Bahrein, con la benedizione dell’America di Donald Trump. In sostanza, reagire sì, ma senza provocare rotture insanabili con quella fetta di arabi, le monarchie sunnite del Golfo, la Giordania e l’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi, che non ambiscono allo scontro di civiltà con l’Occidente e Israele. Qualche perplessità occidentale è giunta anche a causa di una guerra che sta diventando piuttosto lunga e, almeno fino a poche settimane fa, priva del raggiungimento di traguardi significativi. Il governo israeliano di Benjamin Netanyahu, pur comprendendo e mai rigettando a priori consigli ed avvertimenti degli alleati, non ha mai mollato la presa su Gaza e contro Hamas, convinto della necessità di prendersi tutto il tempo utile per arrivare all’obiettivo fondamentale, in fin dei conti auspicato pure a Washington e nel Vecchio Continente, ovvero, lo scardinamento dell’organizzazione di assassini che prima del 7 ottobre teneva in pugno la Striscia. Israele ha accettato in più occasioni di discutere in merito ad un cessate il fuoco, l’ultimo incontro in ordine di tempo si è svolto a Roma, ma conversare con dei terroristi non è affatto semplice. La lunghezza del conflitto è dipesa e dipende anche dalla vigliaccheria criminale degli uomini di Hamas, che si nascondono fra i civili di Gaza, e dagli attacchi di Hezbollah dal Libano che obbligano lo Stato ebraico a dispiegare forze ed energie per proteggere il confine settentrionale. Ma la testardaggine, se così vogliamo chiamarla, di Netanyahu ha prodotto risultati incisivi in questi ultimi giorni e devastanti per i terroristi che sognano la distruzione di Israele e per coloro i quali li finanziano. Prima, l’eliminazione del capo militare di Hamas Mohammed Deif, ideatore delle incursioni sanguinarie del 7 ottobre. Poi, la sonora lezione inferta agli Houthi dello Yemen, che attaccano le navi mercantili occidentali e l’uccisione a Beirut del capo militare di Hezbollah Fuad Shukr. Infine, la decisiva e importantissima scomparsa di Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, ucciso da un razzo nella stanza dove alloggiava a Teheran. C’è la comprensibile preoccupazione per una escalation a livello regionale e secondo il New York Times la Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, avrebbe già dato ordine al proprio esercito di colpire Israele per rappresaglia, ma se si decide di distruggere quelle organizzazioni terroristiche che rappresentano rischi mortali, non si può che puntare ad eliminarne i vertici e le teste pensanti. 

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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