A breve si discuterà in Parlamento del caso Almasri, con l’informativa in diretta tv dei ministri Nordio e Piantedosi. E si discute ancora sulla possibile pregiudizialità di quell’avviso di garanzia recapitato a Giorgia Meloni e a mezzo governo grazie alla denuncia dell’avvocato Li Gotti e all’iscrizione nel registro degli indagati da parte del procuratore di Roma, Lo Voi. Tra l’altro, il tutto partendo da un esposto che presenta come prove gli articoli di giornale che parlano del caso: “Tre fotocopie di giornale non possono mettere nei guai un qualunque cittadino. Figuriamoci mezzo governo” ha perciò commentato Elisabetta Gardini, deputato di Fratelli d’Italia questa mattina ad Agorà.
Ma a quanto pare, è bastato poco per far partire le indagini, con una celerità impressionante se pensiamo a quanto tempo occorre a un processo per concludersi (ma anche per avviarsi), a quante lungaggini bisogna affrontare, a quanta lentezza spesso denunciamo e quanta mole di lavoro che viene raccontata dagli stessi magistrati per giustificare tale mancanza di celerità. Scoppiò ad esempio il caso dei mafiosi scarcerati per scadenza dei termini proprio in concomitanza con i primi casi di rientro dei migranti dall’Albania e dei rinvii alla Corte di Giustizia dell’Unione europea: due storie, dall’esito diverso, che ci raccontano la differenza di trattamento di certe tematiche rispetto ad altre da parte di certi magistrati.
Possiamo dire che sul caso Almasri, la situazione è molto simile, perché in pochissime ore la denuncia di Li Gotti si è trasformata in una indagine. L’esposto contro Meloni, Piantedosi, Nordio e Mantovano, dunque, ha scavalcato tutte le altre denunce che aspettavano il vaglio del capo dei pm romani. Una celerità insolita che questa mattina Maurizio Belpietro sulla Verità ha sconfessato: con la volontà di scoprire il numero di esposti che vengono consegnati ai pubblici ministeri della Capitale, compito arduo in assenza di fonti, è stato scovato un documento, risalente al 2017 e firmato dall’ex procuratore, Giuseppe Pignatone, che fornisce il dato sulle denunce annuali. Il numero è eclatante: 350mila denunce, un migliaio ogni giorno. Un numero enorme. E quindi la domanda sorge spontanea: come ha fatto Lo Voi, tra tutti i documenti che aveva da visionare, a scovare proprio quello che riguardava Meloni e il governo?
Il predecessore di Lo Voi: “L’iscrizione può essere strumentalmente utilizzabile”
Nel documento visionato dalla Verità, Pignatone aggiunge anche alcuni allarmi: ricorda, ad esempio, che “l’iscrizione nel registro delle notizie di reato” è “eventuale”. Eventuale: nessun atto dovuto, nessun obbligo, il tutto è rimesso nelle mani del procuratore, nella sua discrezionalità. Lo dice il codice di procedura penale e lo dice la Corte di Cassazione. In più, scriveva Pignatone anticipando in pratica quello che sta succedendo in questi giorni, l’iscrizione nel registro degli indagati può diventare “strumentalmente utilizzabile, dai denunciati o da altri, per fini diversi rispetto a quello dell’accertamento processuale, specie in contesti di contrapposizione politica, economica, professionale, sindacale, ecc…”. E ancora: “L’iscrizione ha, molto spesso, un costo significativo anche per colui nel cui (astratto) interesse viene effettuata ed è inoltre soggetta a essere sollecitata per ragioni di carattere strumentale del tutto estranee alle fisiologiche dinamiche processuali. Queste considerazioni impongono di abbandonare una concezione formalistica imperniata sull’approccio ispirato a una sorta di favor iscritionis, criterio non formalizzato ed estraneo al sistema. Al contrario: procedere ad iscrizioni non necessarie è tanto inappropriato quanto omettere le iscrizioni dovute”. Dunque, non ha ragione ancora una volta Giorgia Meloni e tutta la maggioranza quando, parafrasando la dicitura, parlano di “atto voluto”?