Venti giorni. Sono trascorsi appena venti giorni tra l’incarcerazione immotivata di Cecilia Sala e la sua liberazione, avvenuta ieri, ad opera di uno straordinario lavoro di coordinamento tra diplomazia e intelligence. Tanto si è parlato in questi venti giorni, ma non l’hanno fatto i diretti interessati, gli agenti diplomatici, il Presidente del Consiglio, il Ministro degli Esteri, non solo per rispettare la richiesta della famiglia Sala, il riserbo assoluto, ma anche perché la tessitura di un lavoro diplomatico è una cosa complessa e appunto segreta, e non può essere spiattellata su giornali e riviste che, con le loro insinuazioni quasi sempre non veritiere, avrebbero rischiato di mandare tutto all’aria. Dall’altra parte c’erano gli ayatollah, non proprio persone con cui è facile contrattare. “Così come facemmo per Alessia Piperno qualche tempo fa – ha detto il capo della Farnesina, Antonio Tajani, pochi minuti dopo la liberazione di Sala –, siamo riusciti a riportare a casa anche questa giovane giornalista. Ci siamo impegnati tantissimo, siamo stati in silenzio, a volte prendendoci anche qualche critica, ma abbiamo sempre lavorato sottotraccia per cercare di ottenere il risultato. Così si ottengono i risultati positivi, senza parlare troppo, e ci siamo riusciti”.
Le frasi invecchiate malissimo
In silenzio. Eppure i grandi pensatori della sinistra odierna vedevano nel silenzio una debolezza: pensavano che non avere aggiornamenti costanti dalla premier Meloni fosse un segnale di fragilità. Volendo quasi intendere che la premier è una abituata a fare baldoria senza portare a casa risultati, non capendo che la strategia di Meloni è sempre stata totalmente opposta: sacrificare anche consenso nel breve termine per ottenere un risultato maggiore e realmente fruttifero nel lungo periodo. E anche questa volta è andata così. Non resta che ricordare le parole invecchiate malissimo di chi ha approfittato del silenzio per sparare a zero sul governo. Corrado Augias commentò così la visita della premier da Trump: “È andata lì cinque ore, due delle quali sono state occupate dalla visione di un documentario, immaginiamoci quanto allegro, che legittimava l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio, una bella serata non direi, una serata utile? Credo di no, perché se fosse stata veramente utile si saprebbe e non c’è nessun comunicato che dica che la presidenza del Consiglio e l’imminente presidente degli Stati Uniti d’America hanno convenuto qualcosa”. Andiamo a Michele Santoro: “Non la facciamo rientrare, questa è una colpa grave del governo. Con un allarme giusto noi avremmo potuto far rientrare Cecilia un attimo prima, adesso c’è il silenzio stampa, quindi non possiamo parlare neanche delle nefandezze che compiono”. E ancora: “La premier sembrava un cagnolino alla corte del presidente americano. Sembrava una fan capitata al concerto degli U2, che si mette lì in un angolino. Non dà l’idea di una persona che voglia avere un ruolo di mediazione. Sono indignato”. Torna in scena anche Rosi Bindi, che definisce “il comportamento del nostro governo ancora una volta abbastanza discutibile” perché quello della Sala è un caso che “certamente non si risolve con la bacchetta magica”. Infine, il commento di Brando Benifei, europarlamentare del Pd, nella gruppo Whatsapp “Bella chat” creato da Massimo Giannini, riportato da Libero: “Credo di non capire quanto si sta scrivendo: l’auspicio era che non venisse liberata o che ci volesse almeno un po’ più di tempo perché non passasse come un successo della Meloni? Mi auguro che in una chat intitolata al giorno della Liberazione il sentimento non sia davvero questo”. E con ramanzina finale, sipario.
Poveretti come ci saranno rimasti male!…e Augias che legge tutti quei libri parla ancora a vanvera?
Ed ancora non hanno capito nulla o per meglio dire fanno finta di non capire, ma in realtà hanno capito benissimo! Grande lavoro diplomatico diretto da Giorgia Meloni, immenso leader!!!