Ieri Cecilia Sala, la giornalista italiana imprigionata in Iran e liberata dopo soli 20 giorni grazie all’ottimo coordinamento tra Governo Meloni, diplomazia e intelligence, ha fatto il suo ritorno in televisione con un’intervista rilasciata a Che tempo che fa, ospite di Fabio Fabio sul Nove. Un’intervista da cui sono trapelate molte informazioni sulla sua prigionia a Evin, una delle carceri più importanti nonché violente a Teheran, dedicata anche ai dissidenti politici.
“Tante non hanno la mia fortuna: un Paese che ti protegge”
Cecilia Sala per fortuna è stata liberata, anche in tempi celeri, ma molte persone restano imprigionate, senza tutele, lontane dalle garanzie di un giusto processo e dai principi fondamentali del diritto internazionale. È la stessa Cecilia Sala ad aver riconosciuto che la celerità con cui è riuscita a tornare in patria, è stata un fatto con pochi precedenti: “Questa è stata l’operazione per liberare un ostaggio preso in Iran più rapida dagli anni Ottanta. Seguo l’Iran da giornalista e quindi conoscevo gli altri casi” ha commentato l’inviata del Foglio, ricordando come abbia potuto servirsi di un privilegio che non tutti hanno: “Un Paese che ti protegge”. Una “fortuna” che “tante non hanno”. Ed è stato grazie a un eccezionale lavoro di raccordo e di riserbò che Cecilia Sala è tornata in Italia con un volo diretto da una delle tirannie più violente al mondo, dove si rischia di finire in prigione fino a data da destinarsi anche soltanto per aver indossato il velo in modo sbagliato o per essere stato beccato a professare una religione diversa da quella islamica. Specialmente se cristiana.
Agghiaccianti alcuni episodi raccontati. Come quello inerenti agli interrogatori, lunghissimi, a cui veniva sottoposta: “Venivo interrogata incappucciata con la faccia al muro”, ha spiegato. “In un interrogatorio sono crollata, mi hanno dato una pasticca per calmarmi. Mi interrogava sempre la stessa persona in perfetto inglese e capivo che conosceva molto bene l’Italia. Il giorno prima della mia liberazione sono stata interrogata per dieci ore di seguito”. E ovviamente era difficile far scorrere il tempo: “Avevo chiesto il Corano in inglese perché pensavo fosse un libro che in un carcere di massima sicurezza dell’Iran non mi potessero negare e invece mi è stato negato. Ho passato il tempo a contarmi le dita, a leggere gli ingredienti sulle buste”.
L’importanza della politica estera
Racconti che senza dubbio fanno riflettere, e dovrebbero far riflettere soprattutto chi in questi giorni ha tentato di minimizzare il ruolo decisivo che a quanto pare, malgrado il riserbo mantenuto in merito, ha avuto l’incontro a Mar-a-Lago tra Donald Trump e Giorgia Meloni. “Non parliamo di Trump o Musk, ma degli Stati Uniti – ha spiegato nei giorni scorsi il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Galeazzo Bignami – una potenza planetaria che ha sempre qualificato le azioni del mondo occidentale. Dal dialogo con gli Stati Uniti passano scelte importanti come quella riguardante Cecilia Sala – ha aggiunto Bignami – qualche commentatore, più o meno autorevole, di sinistra, aveva parlato di passaggio inutile. Tutti hanno poi riconosciuto che non era così. La politica estera non è solo ‘estera’, ma anche politica interna. Dazi, opportunità per le nostre imprese, per il sistema industriale, l’export: tutto passa da accordi internazionali che possono trarre giovamento da questo rapporto”.