C’è qualcosa che non torna, e non da oggi. Andrea Cavallari, 26 anni, condannato in via definitiva per la strage della Lanterna Azzurra di Corinaldo, è uscito dal carcere con un permesso per discutere la tesi di laurea in Giurisprudenza. Non era un premio di fine pena, non un atto di clemenza o un avanzamento riabilitativo reale: era un permesso temporaneo. Doveva tornare in cella dopo poche ore. Ma non è più rientrato.
Ora è latitante.
Condannato a 11 anni e 10 mesi per la tragedia dell’8 dicembre 2018 — sei morti, tra cui cinque ragazzi minorenni e una madre di 39 anni, oltre a 59 feriti — Cavallari era stato riconosciuto come uno dei membri della famigerata “banda dello spray” della Bassa Modenese. Un gruppo criminale che utilizzava spray urticanti per generare il panico e derubare le vittime nei locali affollati, come accadde quella sera alla discoteca Lanterna Azzurra, prima del concerto del rapper Sfera Ebbasta.
Il giorno della fuga
Giovedì 3 luglio, Cavallari esce dalla Dozza di Bologna, dove era detenuto, per recarsi all’Università e discutere la tesi triennale in Scienze Giuridiche. Secondo le ricostruzioni, avrebbe raggiunto la sede accompagnato dalla famiglia, senza alcuna scorta della polizia penitenziaria. Dopo la proclamazione, si è allontanato con la fidanzata e ha fatto perdere le proprie tracce.
Un piano semplice, quasi banale. Ma soprattutto prevedibile.
L’indignazione della Polizia Penitenziaria
Durissimo il commento di Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria:
“Stiamo cercando di far sì che in situazioni simili venga dato più spazio alla polizia penitenziaria nell’osservazione dei detenuti, come elemento di valutazione per l’accesso ai benefici”.
Parole che suonano come un’ammissione di impotenza: la sorveglianza è stata esclusa, la responsabilità distribuita su un sistema che ha scelto la fiducia cieca a scapito della giustizia.
Un sistema che non impara
Cavallari non era un detenuto qualsiasi. Era un simbolo, suo malgrado, di uno dei casi più dolorosi della cronaca italiana recente. Arrestato nell’agosto 2019, il suo processo è stato lungo, ma la condanna è stata netta: omicidio preterintenzionale plurimo, furto, rapina, lesioni. Una pena severa, ma evidentemente non abbastanza da impedirgli di aggirare il sistema.
Nel frattempo, il sistema giudiziario non riesce a far valere nemmeno le proprie sentenze. E così accade che un condannato per una strage possa laurearsi in libertà, e poi sparire.
La lezione mancata
La vicenda mette a nudo il vero scandalo: l’ideologia del recupero a tutti i costi, anche quando la realtà dimostra che non c’è redenzione, ma solo strategia. Cavallari ha approfittato delle crepe di un sistema che continua a ignorare le sue stesse vittime.
E le famiglie dei sei morti di Corinaldo? Loro restano con il vuoto e l’ennesima beffa. Dopo i processi, dopo le assoluzioni nei filoni paralleli, dopo la farsa della sicurezza mai garantita, ora devono assistere anche all’evasione — perché di questo si tratta — di chi ha concorso a uccidere i loro figli.
Laureato. E in fuga.