Il regime iraniano è di nuovo con le spalle al muro. Dopo l’attacco sferrato da Israele in risposta alle provocazioni di Teheran, e dopo anni di complicità occidentale verso la Repubblica Islamica, è arrivato il momento della verità.
Con un ultimatum secco e inequivocabile, il Presidente degli Stati Uniti ha parlato chiaro: l’Iran deve arrendersi. Niente più giochi, niente più trattative opache, niente più minacce sotto banco. Deporre le armi, smantellare il programma nucleare, rinunciare all’aggressione permanente contro l’Occidente e contro il popolo iraniano stesso.
Khamenei alza la voce, ma è una voce debole
La risposta della Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, è arrivata come da copione: “Non ci arrenderemo. Qualsiasi attacco americano avrà conseguenze irreparabili.” Un’escalation verbale che nasconde il panico. La verità è che per la prima volta dopo anni, qualcuno osa parlare al regime iraniano con il linguaggio che capisce: quello della forza e della chiarezza.
Per troppi anni, le democrazie occidentali si sono piegate a un finto dialogo. Il regime ha represso, incarcerato, lapidato, impiccato oppositori, donne, giornalisti, omosessuali, cristiani. Ha finanziato il terrorismo internazionale, destabilizzato il Medio Oriente, minacciato Israele, incatenato il suo stesso popolo. E l’Europa ha risposto con ambiguità, accordi sul nucleare e sorrisi diplomatici.
Trump no. Trump ha detto basta.
La voce dell’America libera scuote il mondo
“L’ultimatum di Trump è inaccettabile”, dice Khamenei in tv. Ma lo dice mentre migliaia di giovani iraniani lo maledicono sottovoce, dietro le reti dei social oscurati, tra le mura delle università sorvegliate, nei cimiteri dove riposano le ragazze uccise per un velo fuori posto. Per loro, la voce di Trump non è una minaccia. È un segnale. È l’eco di una possibilità.
L’Occidente ha bisogno di tornare a essere ciò che è sempre stato: la casa della libertà. E per esserlo, deve smettere di tollerare chi la calpesta. Oggi Donald Trump non parla solo a Teheran. Parla anche a Bruxelles, a Parigi, a Roma. Ricorda che la pace non nasce dalla debolezza, ma dalla fermezza. Che i regimi si piegano solo quando sentono di non poter più ricattare.
Un Iran libero è possibile. Ma serve coraggio
C’è un altro Iran che sogna, prega, spera. È l’Iran delle madri che vogliono crescere figli liberi. Dei giovani che studiano non per odiare, ma per costruire. Degli uomini e delle donne che vogliono parlare, amare, scegliere. Quell’Iran è ostaggio di un potere teocratico che usa Dio come scudo per il suo dominio.
Il Presidente Trump non ha dichiarato guerra al popolo iraniano. Ha lanciato una sfida al regime che lo opprime. E nel farlo, ha dato voce a milioni di persone che non possono parlare.
La civiltà non si difende arretrando
La minaccia di “conseguenze irreparabili” pronunciata da Khamenei non spaventa chi crede nella libertà. La vera conseguenza irreparabile sarebbe continuare a cedere. Continuare ad accettare che i peggiori regimi del pianeta dettino legge, mentre le democrazie si interrogano su come non offenderli.
Noi siamo dalla parte della libertà. Dalla parte del popolo iraniano, non dei suoi carcerieri. Dalla parte di Trump, non dei negoziatori della resa. E dalla parte della civiltà, non della paura.
Perché la libertà non si compra. Si difende. Anche quando costa. Anche quando trema il cielo.