Inutile mentire, ogni giorno che passa, il governo ci piace sempre meno. Non era questo che ci eravamo aspettati quando siamo andati a votare la scorsa primavera. Ancor di più non era questo quello che supponevamo dopo la sonora sconfitta del centrosinistra, ridotto al lumicino. Immaginavamo il centrodestra al governo, ma per poche unità non c’era la maggioranza – sebbene sarebbe stato interessante vedere cosa sarebbe accaduto con un esecutivo di centrodestra che avesse chiesto la fiducia in aula – e Mattarella ha così pensato di dare l’incarico al primo partito per numero di voti, e non alla prima coalizione. Una decisione tutta sua, che ovviamente di centrodestra non è, e lo dimostra anche troppo spesso per essere un “super partes” come deve.
Così è nato “lo sgorbio” giallo-verde, un governo che più eterogeneo non si può, come mettere insieme il diavolo e l’acqua santa, le acciughe con la crema pasticcera, ghiaccio e lava. Insomma, un guazzabuglio che non prometteva nulla di buono se non, e questo era innegabile, un drastico cambiamento. Per la prima volta i 5 stelle arrivavano al governo, insieme a un partito fino a quel momento territoriale ma che di colpo si scopriva a vocazione nazionale e in più, nemmeno ce ne fosse il bisogno, senza un premier con cui presentarsi alle Camere. O meglio, il premier c’era, anzi ce ne erano troppi, ben due e questo era come non averne, visto che nessuno era disposto al fatidico passo indietro. Alla fine, anche lì, ecco arrivare un accordo bislacco, un uomo sconosciuto ai più, giovane e belloccio, molto stilè, professore universitario con il curriculum un filo taroccato, pare all’epoca molto vicino ai grillini senza essere un militante riconosciuto: Giuseppe Conte.
L’esordio, come molti ricorderanno, non fu eclatante. Il povero Conte non parve personalità da poter contrastare il peso politico e i fan urlanti di Di Maio e, ancor più, di Salvini, e da subito fu evidente che se non ce l’avesse messa proprio tutta, sarebbe finito per essere la velina dei suoi due vice-premier. E in effetti, almeno all’inizio è andata così. Salvini assestò il primo colpo chiudendo i porti italiani ai migranti e impendendo per la prima volta negli ultimi 5 anni che tutte le Ong del mondo venissero a riversare qui il loro carico di esseri umani. Non a caso, il suo partito, la Lega non più Nord, passò nel volgere di pochi giorni dal 17% preso alle elezioni a un sostanziosissimo 32% che metteva in fila anche il Movimento 5stelle. DiMaio, per non restare al palo, preoccupato dai mugugni del suo partito e ingelosito di non essere al centro dell’attenzione, cominciò a starnazzare sul reddito di cittadinanza che sembrò diventare la soluzione di tutti i problemi italiani e infatti chi se lo scorda lo stato maggiore M5s schierato sul balcone di Palazzo Chigi a strillare che si era sconfitta la povertà?
E in tutto questo, il povero Giuseppe Conte? Praticamente, non pervenuto.
Mandato a zonzo per l’Europa, dove tra un baciamano alla Merkel e una pacca affettuosa a Junker venne accolto più che bene, il premier rischiò praticamente di scomparire già nei primi 100 giorni. Il bello era che Conte sembrava immemore di tutto ciò, distaccato, come se non gliene fregasse nulla e forse era così. Ma poi, all’improvviso deve aver scoperto il gusto per il potere, deve aver fatto due conti, e a quel punto ha completamente cambiato atteggiamento. Ha cominciato a mostrarsi e a mettere bocca il più possibile, anche se la maggior parte delle volte non sembra proprio che qualcuno lo sia stato a sentire. Almeno finché con Di Maio non hanno riportato d’attualità il tema dell’accoglienza ai migranti. In pratica, tentando di tornare indietro sull’unica cosa davvero buona e ben accetta da tutti gli italiani che il governo ha fatto fino ad ora.
E questa cosa non si capisce proprio o, quanto meno, dà adito a grossi interrogativi. Perché tanti uomini politici italiani che potrebbero avere un più che discreto avvenire a un certo punto, in barba al loro stesso elettorato, ai sondaggi, agli umori della piazza, alla volontà del popolo, riaprono la discussione che ha per tema l’accoglienza ai migranti, lì dove è chiaro anche agli asini che gli italiani non hanno chiuso solo i porti, ma anche gli usci delle case e le orecchie, e sono arcistufi di dover soccorrere l’Africa e non solo, quasi non ci si possa sottrarre all’obbligo del mantenimento di interi popoli incapaci di pensare a se stessi?
E’ incredibile che con tante situazioni che questo governo non riesce ancora ad affrontare, figuriamoci a risolvere, Di Maio e Conte pensino bene di arrivare ai ferri corti con Salvini per il problema di una decina tra donne e bambini che per loro libera scelta hanno deciso di rischiare la vita nel Mediterraneo d’inverno. Subito “fortunatamente” raccolti però da due navi Ong, e che ora potranno anche stare scomodi o essere annoiati, ma certo non rischiano la vita e non sono sicuramente sistemati peggio che a casa loro dove, diversamente, avrebbero potuto rimanere.
“La politica del rigore ha un limite”, dice Conte, sostenendo la sua volontà di voler accogliere questi migranti. Non siamo d’accordo. Se si comincia con le eccezioni, poi non si capirebbe perché si accettano questi oggi e magari non si accettano quelli che arriveranno domani mattina, e così via. In compenso, la pazienza degli italiani un limite ce l’ha davvero, e questi signori cominciano ad essere sempre più vicini dal superarlo ogni giorno che passa.
C’è talmente tanto da fare in questa Nazione, che hanno solo l’imbarazzo della scelta. Lasciassero perdere il capitolo migranti e si concentrassero su quello che gli italiani vogliono davvero, che non è ingrassare i mercanti di uomini. Oppure saremmo obbligati a pensare che certi guadagni coinvolgano più gente di quanta immaginiamo.