«L’Europa deve riscoprire le proprie radici, la propria identità cristiana. Soltanto così non dovrà temere il radicalismo islamico». Sono parole del cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo e primate della Chiesa della Bosnia-Erzegovina, in una conversazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre.
In questi giorni la sezione italiana della Fondazione pontificia ha lanciato una campagna di raccolta fondi dal titolo Non c’è Europa senza Cristo a sostegno degli studenti del seminario Redemptoris Mater di Vinnitsa in Ucraina, e dell’ampliamento del centro giovanile San Giovanni Paolo II di Sarajevo.
A tal proposito il cardinal Puljic ha riferito ad ACS della difficile situazione nel Paese Balcanico, dal quale si stima che ogni anno emigrino circa 10mila cattolici. «È dalla fine della guerra che la nostra piccola comunità continua a diminuire di anno in anno, a causa dell’assenza di uguaglianza sia a livello politico che giuridico. Alcuni non trovano lavoro, altri invece hanno un impiego ma non riescono più a vivere in un Paese in cui non godono degli stessi diritti degli altri cittadini». I cattolici sono infatti discriminati in entrambe le entità istituite dagli accordi di Dayton nel 1995. Nella Federazione croato-musulmana, perché di fede non islamica, e nella Repubblica serba di Bosnia-Erzegovina perché prevalentemente di origine croata. L’arcivescovo di Sarajevo riconosce a tal riguardo le responsabilità della comunità internazionale, «che non ha offerto a noi cattolici lo stesso aiuto concesso ad altri gruppi».
La Chiesa locale cerca di infondere speranza al proprio gregge e di favorire un clima di tolleranza attraverso diverse iniziative, specialmente rivolte ai giovani nel Centro San Giovanni Paolo II, che accoglie anche ragazzi di altre fedi. «Ma non possiamo farcela da soli, perché siamo una piccola realtà», afferma il porporato ringraziando i benefattori di ACS per l’aiuto finora ricevuto. «Vi siamo molto grati perché la nostra Chiesa non potrebbe sopravvivere senza quanti ci sono vicini e ci offrono il loro appoggio».
Un’altra grave difficoltà è rappresentata dall’Islam radicale, sempre più diffuso in Bosnia-Erzegovina. «Vi è un grande investimento da parte di Paesi arabi che costruiscono moschee e perfino interi villaggi in cui far vivere quanti giungono qui dalle loro nazioni. Con i musulmani slavi abbiamo buoni rapporti, ma con gli islamici radicalizzati provenienti dal mondo arabo è difficile dialogare. Soprattutto perché, specie a livello politico, ignorano la nostra presenza».
Il Paese balcanico è una nota porta di accesso all’Europa per l’Islam radicale, che si sta propagando velocemente nel vecchio continente. «Purtroppo l’Europa non conosce bene l’Islam e non capisce cosa significhi vivere fianco a fianco con il radicalismo islamico». Per contrastare il dilagante fenomeno, il cardinal Puljic ritiene si debba ripartire dalla riscoperta delle radici cristiane. «Al giorno di oggi c’è attenzione soltanto per il materialismo e non per la dimensione spirituale dell’uomo. L’Europa deve imparare a custodire le sue radici cristiane, altrimenti continuerà a temere il radicalismo».