Impreparazione, improvvisazione, terrore. Questo ha caratterizzato, più di tutto, le prime terribili settimane di pandemia, che cinque anni fa ha cambiato per sempre il corso del mondo. Dai primi giorni in cui il virus fu sottovalutato, passando poi alle settimane successive in cui da palazzo Chigi piovevano Dpcm e niente più, giungendo infine a quella routine che ci ha accompagnato per quasi due anni, fatta di aperture e chiusure, zone gialle, arancioni e rosse, terapie intensive allo stremo e bollettini dei decessi letti in diretta televisiva.
L’esperto Vespignani: “Si lavorava con fogli scritti a mano”
La commissione d’inchiesta sul Covid continua il suo lavoro per ricercare la verità e scoprire cosa è stato fatto e, soprattutto, cosa poteva essere fatto in quei primi mesi di impreparazione. A sostenere una tale tesi è stato anche Alessandro Vespignani, direttore del Network Science Istitute presso la Northeastern University di Boston, che nei giorni scorsi è stato audito proprio in commissione. Per l’esperto, durante la prima ondata, “la catena di competenze non ha funzionato”. Non c’è stata, cioè, la giusta correlazione tra scienza e politica. “Quando c’è una nuova pandemia che emerge, c’è una nebbia di guerra con confusione e pochi dati. Quelli raccolti diventano eterogenei, c’è un decesso e poi altri. All’inizio le cose sono complicate, i sistemi di monitoraggio non erano comunicanti e continuano a essere non comunicanti. Si è lavorato con fogli Excel o scritti a mano in maniera poco informatica. La situazione è poi migliorata, ma per il futuro serve potenziare la capacità di acquisizione dei dati”. Una denuncia grave, che però non sorprende gli addetti ai lavori. Per Vespignani, “c’è stata comunque una errata valutazione del rischio e una mancanza di trasparenza di comunicazione al pubblico. Gli scienziati hanno dato un portafoglio di possibilità sugli scenari, ma non abbiamo deciso gli interventi messi in campo nel 2020”.
La denuncia di FdI: “Conte optò per lockdown senza preoccuparsi degli effetti sulla società”
È dunque la scienza che viene piegata dalla prepotenza della politica. Altro che “ce lo dice la scienza”, che il governo giallo-rosso millantava mentre l’allora premier, Giuseppe Conte, pubblicava a cadenza quasi quotidiana i suoi decreti. “Cade così un altro dogma della sinistra” ha commentato a margine dell’intervento Alice Buonguerrieri, deputato di Fratelli d’Italia e capogruppo del partito in commissione Covid, sottolineando che “chi racconta che durante la pandemia di Covid le decisioni siano state prese squisitamente sulla base di dati scientifici, mente”. In pratica, Vespignani ha palesato i tanti errori commessi durante la pandemia, dall’errata valutazione del rischio fino all’assenza di trasparenza di comunicazione al pubblico. “Il prof. Vespignani – ha aggiunto poi Buonguerrieri – ha poi spiegato che l’efficacia dei lockdown in termini epidemiologici va sempre commisurata con gli effetti collaterali, ad esempio sull’economia e sulla scolarizzazione. L’esperto ha paragonato efficacemente il lockdown a una manopola: se lo si muove su un lato, nell’intento di arginare un virus, si hanno poi delle conseguenze su altri ambiti altrettanto importanti”. Effetti che, evidentemente, a quanto pare non sarebbero stati presi in considerazione – non almeno come avrebbero meritato – da chi si assumeva la responsabilità di prendere certe decisioni: “Ebbene – ha aggiunto in merito Buonguerrieri – il Governo Conte, purtroppo, spostò la leva tutta sul lato del confinamento, senza preoccuparsi degli effetti gravi del lockdown sul tessuto sociale ed economico. Le chiusure andavano fatte tempestivamente e in modo selettivo anziché tardive e in modo indiscriminato”. Ritardi e poca preparazione che hanno avuto, purtroppo, i loro effetti sui cittadini, che hanno dovuto pagare il prezzo maggiore.
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