E’ tempo di dichiarazione dei redditi, è tempo di audizioni alla Commissione Finanze della Camera di Ernesto Maria Ruffini, Direttore Generale dell’Agenzia delle Entrate.
Primo dato: il magazzino del non riscosso alla data del 31/12/2022 si attesta a 1.153 miliardi di euro, con un aumento di 53 miliardi rispetto all’anno passato. Il magazzino, ossia lo stock, del non riscosso si riferisce agli ultimi 10 anni. In generale il non riscosso viene solitamente incasellato come evasione facendo intendere, ai non addetti, che sia frutto del non dichiarato all’erario. Ma non è sempre così. Nel momento in cui scriviamo non abbiamo ancora a disposizione i dati statistici del 2022 ma solo quelli del 2021 (1) redatto a cura del MEF; l’uscita del nuovo documento aggiornato è previsto per il 15 giugno p.v. Il documento dal titolo “Appendici statistiche e guida alla relazione sul monitoraggio dello stato del contenzioso tributario e sull’attività delle commissioni tributarie”, a pagina 92 per esempio, ci rende l’idea di quante pratiche di contenzioso siano state definite e con quale esito.
Nel corso dell’anno 2021 sono stati trattati, tra Commissione Tributarie Provinciale (CTP) e Commissioni Tributarie Regionali (CTR) un totale di 193.293 casi. Di questi solo il 50,3% ha avuto esito positivo per le CC.TT. Un buon 27,3%, invece, è stato favorevole ai contribuenti. Non finisce qui. La restante parte (22,4) viene ricompresa sotto le tre voce di: Giudizio Intermedio 9,6%, Conciliazione 0,4% e Altri Esiti 12,3%.
Il valore del contenzioso dell’anno 2021, trattato dalle CC.TT., è stato pari a 21,1 miliardi di euro di cui 12,5 miliardi dalle CTP e 8,6 miliardi dalle CTR.
In media, si può affermare, che i rilievi mossi dagli Enti accertatori hanno contribuito al recupero di 10,6 miliardi di euro ma che 5,7 miliardi di euro non erano dovuti.
Dicevamo prima che, nell’immaginario dei non addetti ai lavori, potrebbe formarsi l’idea che il recupero dell’imposta evasa sia frutto del non dichiarato; ma non è così. Il contenzioso si riferisce ad un complesso di voci come da tabella di seguito riportata:

tra cui anche il Bollo Auto.
Tornando ai dati percentuali, possiamo immaginare che un’altra parte del recupero provenga dal 9,6% del giudizio intermedio quantificabile in media in 1 miliardo di euro. Quello che sfugge alla disamina è il significato rappresentato dal raggruppamento “Altri Esiti” con il suo 12,3%, pari ad un controvalore medio di 2,5 miliardi di euro.
Sta di fatto che il recupero è pari a € 11,6 miliardi di euro circa. Guardando agli anni passati notiamo che le percentuali non si discostano tanto rispetto al 2021.
Prendendo a base questi dati possiamo immaginare che, su un “magazzino” di non riscosso di 1.100 miliardi di euro in 10 anni, ossia 110 miliardi all’anno, circa 21 miliardi arrivano in giudizio e se ne riscuotono 11 di miliardi all’anno, pari al 10%.
C’è qualcosa che non quadra. Detto da queste pagine poco potrebbe contare ma, detto da fonti più autorevoli, dovrebbe farci riflettere.
la fonte autorevole è la Corte dei Conti – Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, con la sua delibera n. 7/2021/G pubblicata a marzo 2021 (2).
Alle pagine 15-16-17-18-19-20 abbiamo la possibilità di leggere la Sintesi del documento che riassume i punti cruciali e deboli del Bilancio dello Stato. infatti leggiamo che “La problematica di maggior rilievo è indubbiamente costituita dalla sovrastima
dei residui ritenuti di riscossione certa – e che, quindi, sono considerati ai fini della
determinazione del valore delle entrate complessive -. Se, apparentemente, dopo la
loro riduzione operata in base alla probabilità della riscossione, le somme ritenute tali
(anche se l’effettiva riscossione è ritardata) dovrebbero avere un elevato livello di
affidabilità ed attendibilità, in realtà sembra rimanere una divergenza tra queste
somme iscritte a consuntivo e quelle effettivamente riscosse. Più precisamente, ogni
anno, dei 160/170 miliardi di euro circa (di cui 60/70 in conto competenza) che
vengono mediamente considerati di riscossione certa, in concreto ne vengono
effettivamente riscossi 7/8 miliardi di euro, non risultando quindi sufficientemente
dimostrati i criteri di costruzione delle stime effettuate o comunque delle
annotazioni contabili relative alle somme ritenute di riscossione certa
(presumibilmente comprensive delle dilazioni di pagamento e, soprattutto, delle
somme giudiziariamente controverse, tutt’altro che “certe”). Occorre quindi, nel
rispetto dei principi di veridicità, attendibilità e correttezza dei dati contabili di
bilancio, responsabilizzare maggiormente le amministrazioni al fine di ricondurre i dati esposti in Rendiconto alle reali previsioni di entrata, di gran lunga inferiori a
quelle attualmente rendicontate, considerando anzitutto i dati storici delle effettive
entrate e allineando le previsioni di riscossione alle percentuali di abbattimento
annualmente stimate dall’Agenzia delle entrate e alle valutazioni operate dal
Gruppo di lavoro per la sperimentazione dell’accertamento qualificato, che si
attestano, come più ampiamente riferito in relazione, in volumi complessivi di
riscossione attesi pari a 7,5/7,6 miliardi di euro annui.”
Il richiamo della Corte Costituzionale è rivolto ai principi di veridicità delle somme esposte che, neanche velatamente lo dicono, sono sovrastimate. Proseguendo si annota anche che “occorre provvedere con adeguati interventi (salvaguardando comunque le
esigenze dell’erario attraverso la verifica delle situazioni giuridiche sottese alle
ragioni creditorie) ad una riconduzione dei carichi residui affidati all’Agente della
riscossione e, più in generale, dei resti da riscuotere oramai riconosciuti
assolutamente inesigibili, a una rappresentazione più plausibile, attraverso la
definizione delle posizioni (stratificate sin dal 2000) che, per i motivi esposti in
relazione, nelle note metodologiche dell’Agenzia delle entrate e nelle relazioni del
Gruppo di lavoro sull’accertamento qualificato, possono ritenersi irrecuperabili.”
Proseguendo si legge che la Corte dei Conti reitera una richiesta a suo tempo fatta ” …questa Sezione ha chiesto alla Ragioneria (3) se sia possibile distinguere i resti da riscuotere evidenziati nell’Allegato 24 in base all’esercizio finanziario nel quale si sono formati, nonché il riscosso in base all’anno di accertamento delle
relative somme. Ciò, allo scopo di ricostruire la formazione dei resti da riscuotere nel
corso degli anni ed effettuare valutazioni più realistiche in ordine alle effettive
possibilità di riscossione.”
In definitiva la Corte dei Conti chiede alle AA.PP. che redigono i bilanci di inserire in esso poste di sicura riscossione e quindi di non considerare quelle incerte.
Statisticamente vi è una quantità enorme di riscorsi pendenti favorevoli al contribuente, (pari ad un terzo) che è possibile quantificare in circa 383 miliardi di euro, se considerati sul famoso magazzino non riscosso.
Ci preme sottolineare che le statistiche, come anche sostiene la Corte dei Conti, non sempre aiutano a svolgere un’analisi qualitativa del dato. Vorremmo aggiungere che nella ricostruzione delle ipotetiche somme dovute, non c’è modo di risalire all’imposta evasa distinguendola dalla sanzione e dagli interessi e dalle altre spese che formano il complesso delle somme recuperate e recuperabili. Inoltre manca un altro dato essenziale che aiuterebbe a non fare più stime circa l’evasione: occorre distinguere il recuperabile in due sotto-voci:
- Somme regolarmente dichiarate e non versate;
- Somme provenienti da ricalcolo successivo a controlli.
Questa distinzione aiuterebbe la formazione dei bilanci delle PP.AA., come richiamato dalla Corte dei Conti.
Continuare ad inserire in bilancio voci non recuperabili servirebbe solo ad “annacquare” il bilancio stesso ed a produrre stime sull’evasione non aderenti alla realtà.
Restiamo in attesa delle nuove pubblicazioni, sia della Corte dei Conti e sia del MEF.
(3) Ragioneria Generale dello Stato