Crisi di Governo: l’autodistruzione dei 5 stelle ridà ossigeno al PD

È finita. Ieri sera si è giunti al triste epilogo di una relazione che sembrava potesse durare malgrado le sostanziali -ma anche formali- differenze: la coppia Salvini-Di Maio, che per molti poteva essere destinata a durare cinque anni, si è rivelata -come l’ha definita Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva- una “coppia disfunzionale” che non è riuscita ad integrarsi ed in cui è prevalso lo spirito di competizione anziché di cooperazione e che nel momento di crisi si è concentrata sul rinfacciarsi le colpe anziché guardare ai problemi che hanno portato alla rottura.

E se normalmente, quando le storie finiscono, nessuno dei due vince, in questo caso tutto politico ad uscirne con le ossa rotte è sicuramente Luigi Di Maio. Ne è dimostrazione il pronto intervento in stile 118 di Alessandro Di Battista che, con un post su Facebook, ha immediatamente elencato quello che il governo gialloverde avrebbe potuto realizzare se Salvini non ne avesse interrotto il percorso ma, principalmente, lo dimostra il discorso del Premier Giuseppe Conte al quale ha fatto seguito l’intervista ai microfoni del tg1 proprio di Luigi Di Maio che -visibilmente provato, confuso, forse un po’ deluso, ma soprattutto terrorizzato-, in condizione “debole”, l’ha a suo modo ringraziato per aver preso posizione tutta in favore del M5S.

E’ stato proprio il discorso di Conte a tracciare un sentiero alternativo e di salvezza, una sorta di corsia d’emergenza, per i Cinquestelle: all’improvviso l’uomo che da attore principale di questo governo è stato sempre considerato invece un’ombra o un’appendice, si è vestito di autorevolezza e ha bacchettato il vicepremier leghista difendendo a spada tratta il lavoro del Movimento. E lo ha bacchettato non sui contenuti ma sulle iniziative in spiaggia, proprio quelle che Salvini sta utilizzando come nuovo strumento aggregativo e di abbattimento della distanza tra istituzione e popolo. Potrebbe aver preso forma così la figura di contrapposizione a Matteo Salvini: l’abito e la pochette contro la polo, la felpa o il torso nudo; il linguaggio pulito ed istituzionale contro il linguaggio semplice e diretto; c’è però da capire se Conte vorrà cambiare strategia sul populismo: va ricordato che entrambe le forze di governo si sono sempre rappresentate come forze populiste e che questo non ha pagato, quanto meno per una delle due, ergo una delle due -e i sondaggi nonché i risultati delle Europee individuano chiaramente quale- deve cambiare rotta.

Una cosa è certa: i Cinquestelle sono serviti a far tornare il bipolarismo. Un’impresa non semplice in un’epoca in cui ogni schema della politica si credeva superato, eppure è bastato farli governare per portarli all’autodistruzione. L’aver riportato in vita il bipolarismo ben si intreccia con la natura interna del Movimento: il primo chiaro episodio in cui una parte di esso si è rivelata è stata la rivolta della base grillina all’ipotesi di ingresso di Fratelli d’Italia nel governo a maggio 2018: si trattava di grillini ex elettori PD, ovvero attuali elettori del M5S affiliati al mentore Roberto Fico, oggi delusi, che torneranno a votare PD alle prossime (e forse imminenti) elezioni Politiche. Il primo pratico assaggio si è avuto sia a livello territoriale, con il M5S in calo alle amministrative di giugno 2018 a beneficio del centrosinistra (seppur in debolissima contrapposizione al centrodestra che invece iniziava la sua sfacciata scalata verso la vittoria di città e comuni di tradizione rossa) sia a livello nazionale, con la costante perdita di parlamentari durante tutta la legislatura.

Ed è stato Nicola Zingaretti, segretario del Pd, ad indossare la maschera dell’ossigeno ieri sera. Dichiaratosi da subito pronto alla sfida, ha lanciato gli strali d’amore perfino all’uomo che neppure lui ha mai votato: Matteo Renzi. “Sei una risorsa, aiutaci a vincere”, gli ha detto dal palco della festa del Pd in provincia di Reggio Emilia. Non è però ben chiaro quale sia, ad oggi, l’obiettivo programmatico della sinistra: a parte l’immigrazione -su cui neppure è chiara la linea politica prevalente, come sottolinea oggi Mario Giordano nelle colonne de La Verità, tra quella dei “tutti sulla Diciotti” e quella più rigida dell’ex ministro dell’Interno Marco Minniti- i dirigenti del Partito Democratico dovranno ridisegnare e riadattare il loro programma sulla base delle nuove priorità che il popolo italiano ha definito. Per rimettersi in gioco, insomma, il Pd dovrà fare i conti con un Paese in cui oltre il 40% dei cittadini vuole ciò che il Pd non potrà mai né offrire né dare. Le proiezioni oggi formulano un’ipotesi di futuro governo a guida centrodestra, con larga opposizione di centrosinistra e poco Movimento. Il Pd ringrazi, sentitamente.

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