Crisi Usa-Colombia già risolta. Una rapida conclusione era scontata

La crisi politico-diplomatica fra gli Stati Uniti e la Colombia si è aperta e si è chiusa in un arco temporale più o meno equivalente alla vita adulta di una efimera, un piccolo insetto acquatico che vive appena un’ora e mezza dopo aver superato lo stato di larva. L’Amministrazione americana presieduta da Donald Trump, come annunciato dal presidente, sta procedendo al rimpatrio degli immigrati irregolari presenti in territorio USA, in gran parte provenienti dai Paesi dell’America Latina, con aerei militari. Ogni Nazione latinoamericana è tenuta a riprendersi i propri cittadini, ma la Colombia, tramite il presidente Gustavo Petro, al primo invio a Bogotà di due aerei militari statunitensi con a bordo colombiani clandestini espulsi dagli USA, ha rifiutato di accogliere i velivoli impedendone l’atterraggio. La reazione americana non si è fatta attendere e il presidente Trump ha subito annunciato l’imposizione di dazi del 25 per cento su tutte le merci importate dalla Colombia, oltre ad una severa revisione della politica dei visti d’ingresso negli Stati Uniti per i cittadini colombiani e la revoca immediata degli stessi per i funzionari del governo di Bogotà. Il presidente Petro, dopo qualche proclama piccato, ha ceduto, è tornato sui propri passi e ha accettato un accordo con Washington. Quindi, la Colombia riceverà i propri cittadini espulsi dagli States e i dazi evocati da Trump sono stati sospesi ancor prima di essere stati applicati. Tutto è rientrato molto velocemente ed è normale che sia stato così. Gustavo Petro appartiene a quella sinistra latinoamericana molto ideologizzata, novecentesca, composta da persone con un passato da guerriglieri marxisti, anti-USA al mille per mille, ma forse il leader colombiano, pur detestando “los gringos” del nord e una figura arci-yankee come Donald Trump, è un po’ meno pericoloso del suo vicino di casa venezuelano Nicolas Maduro. Per fortuna e al contrario del caudillo rosso di Caracas, Petro non ha, almeno per ora, distrutto la democrazia in Colombia e capisce come non convenga al suo Paese dare vita a scontri ideologici con il Nord America. La Colombia, con la guida di presidenti moderati e conservatori, ha sempre collaborato  in passato con gli Stati Uniti sul fronte del contrasto alle migrazioni illegali. Anche se alcuni settori, ovviamente di sinistra, della politica in America Latina vogliono guardare più alla Cina che agli odiati USA, (l’interesse di Trump per il Canale di Panama, fra l’altro, non è dettato da perversioni neo-imperialistiche, bensì dalla preoccupazione che tale determinante infrastruttura non possa essere protetta a dovere da parte delle Autorità panamensi di fronte alle mire di Pechino), gli scambi commerciali fra gli Stati Uniti e le Nazioni latinoamericane, Colombia inclusa naturalmente, rivestono un ruolo fondamentale e vitale. Perciò, è normale che i dazi del 25 per cento minacciati da Trump siano riusciti a riportare con rapidità alla ragione Gustavo Petro. Il presidente colombiano ha dato prova di realismo economico, ma oltre a questo Petro deve avere compreso anche altro. Se a Bogotà non avessero ceduto, si sarebbe concretizzata una pessima figura internazionale e, nello specifico, un certo racconto globale delle sinistre sarebbe andato in frantumi. Gustavo Petro, insieme al Brasile di Lula, ha accusato gli Stati Uniti di trattare come criminali i migranti “deportandoli” con aerei militari. Ma se la Colombia si fosse intestardita ed avesse rifiutato di ricevere gli irregolari respinti da Washington, come avrebbe trattato queste persone, considerata inoltre la cittadinanza colombiana dei passeggeri degli aerei USA? Bogotà avrebbe riservato ai propri figli la stessa considerazione che si applica a persone pericolose e in quanto tali, indesiderate, pertanto, si sarebbe materializzato un comportamento assai più deplorevole di quello di cui è stato accusato Donald Trump. Inoltre, se i Paesi di origine dei migranti non rivogliono più indietro i loro cittadini, ciò significa che nei movimenti migratori di massa, tanto nelle Americhe quanto tra l’Africa e l’Europa, si annidano anche dei poco di buono.

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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