Culle vuote, cucce piene. Anche in Italia si preferiscono gli animali domestici ai figli. “Effetti collaterali” della pandemia?

Anno nuovo, Italia vecchia. L’inverno demografico italiano è sempre più rigido. Abbiamo salutato il 2021 raccogliendo i cocci del terribile biennio pandemico con un eccesso di morti che ha fatto da pendant al crollo della natalità e all’ormai strutturale invecchiamento della popolazione.

Il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ci ha ripetutamente messo in guardia: “siamo di fronte a una malattia con la diagnosi conosciuta e la terapia nota”. Serve un immediato cambio di rotta politico: assegni di sostegno, sussidi alla maternità, agevolazioni fiscali e bonus per madri e padri che lavorano. In Europa, la Francia primeggia con il suo Stato sociale paladino di culle e passeggini, ma anche Germania, Danimarca, Bulgaria e i Paesi scandinavi hanno potentemente rilanciato le politiche per la famiglia e la natalità. C’è dell’altro, però. E qualcosa non torna.
Alla (ennesima) crisi economica globale, aggravata dall’emergenza sanitaria e dalla nuova “guerra fredda” energetica e commerciale, bisogna aggiungere la “questione culturale”.

In Italia non si fanno più figli, ma aumenta la richiesta degli animali domestici. I dati del Censis ci dicono che nel 2019 il nostro Paese è stato il secondo in Europa, dopo l’Ungheria, per numero di “animali di affezione” acquistati o adottati: circa 32 milioni gli “amici” tra cani, gatti, roditori, pesci d’acquario, uccelli e rettili. Il numero si è quasi raddoppiato nel 2020. Secondo il report annuale dell’Associazione Nazionale per l’Alimentazione e la Cura degli Animali da Compagnia (Assalco – Zoomark 2021), sarebbero oltre 62 milioni i “pet” presenti nelle nostre case, tra i quali 8,2 milioni i cani e 7,9 milioni i felini, per una spesa complessiva stimata fra i 3,5 e i 5 miliardi di euro. Accidenti. Certo, non siamo i soli.
Impressionano anche i dati provenienti dalla Spagna, storico dirimpettaio nel Mediterraneo baciato dal sole, come dalla solitudine e dalla depressione.

Anche i nostri vicini iberici hanno sofferto ansie, nevrosi e i tanti “effetti collaterali” che il maledetto virus proveniente dalla Cina ha generato in tutti i Paesi avanzati. E nel Vecchio Continente, è soprattutto al Sud, nel Mezzogiorno del “fatalismo” antico e tragico, che il “pandemonio” Covid ha prodotto il boom di domande di animali da compagnia.

Secondo fonti spagnole, tra il 2019 e il 2021 il numero di cani e gatti sarebbe aumentato del 44%, passando a oltre 15 milioni di “cuccioli” per una spesa complessiva annuale di circa 1 miliardo e 350 milioni di euro, tra alimenti, cure veterinarie, vizi e stravizi di ogni genere.

Come il Belpaese, la Spagna ha vissuto la crisi sanitaria con una speciale ansia collettiva, nonostante la “nueva normalidad” sia stata a lungo inseguita dal governo Sanchéz.

Ma il bisogno di animali da compagnia, anche nel regno di Don Felipe VI, va di pari passo con il declino demografico: 1,19 figli per donna è il tasso di fecondità totale nel 2020, addirittura inferiore all’1,24 italiano. E se in Spagna il numero dei ragazzi con meno di 16 anni è pari a circa 6, 6 milioni, in Italia sono poco meno di 10 milioni e pur sempre 1/6 del totale degli animali di affezione.

Ora, se il Covid ha messo in ginocchio la quasi totalità dei sistemi sanitari del pianeta, provocando morti, ricoveri e ospedalizzazioni, non meno grave, soprattutto in Italia e nelle “società del benessere”, è stata la crisi generalizzata della salute mentale. Il boom degli animali da compagnia e la loro “umanizzazione” rientrano in questo discorso, ma dicono qualcosa di più e in qualche modo sembrano precedere il disagio psichico legato alla pandemia.

“Siamo una società egoista in cui cani e gatti prendono il posto dei figli” ha tuonato il Papa Francesco nell’udienza generale dello scorso 5 gennaio. “E tante coppie non hanno figli perché non vogliono o ne hanno soltanto uno perché non ne vogliono altri, ma hanno due cani, due gatti … Eh sì, cani e gatti occupano il posto dei figli. Sì, fa ridere, capisco, ma è la realtà. E questo rinnegare la paternità e la maternità ci sminuisce, ci toglie umanità. E così la civiltà diviene più vecchia e senza umanità, perché si perde la ricchezza della paternità e della maternità. E soffre la Patria che non ha figli”.

Già. Una Patria senza figli è una patria senza futuro, una patria destinata a soccombere. Chi pagherà le nostre pensioni e, soprattutto, chi “chiuderà i nostri occhi”? Anche la politica italiana smetta di abbaiare. Batta un colpo e dia risposte vere, all’economia, alla salute pubblica e alla speranza delle nuove generazioni.

 

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