Si è chiuso il cerchio di condanne per i responsabili per la strage di migranti avvenuta al largo di Cutro, una cittadina della costa ionica calabrese, nel febbraio del 2023, quando una imbarcazione carica di migranti naufragò provocando la morte di 94 persone, di cui 35 minorenni. Come detto, fu una strage. Il caicco era partito dalla Turchia e stava per approdare in Italia tra il 25 e il 26 febbraio del 2023, quando si arenò su una secca riservando i migranti nel mare fortemente agitato e freddo, nel buio della notte. Si capì subito che le responsabilità erano degli scafisti, del loro business sulla pelle dei clandestini, aggravate dalla mancanza di celerità e di premura nell’avvertire le autorità competenti circa la situazione. Alcuni di loro, ritenuti colpevoli del misfatto, erano già stati condannati con rito abbreviato.
Ieri, gli altri tre coinvolti nei fatti hanno ricevuto la sentenza del tribunale di Crotone. Si tratta di due pakistani poco più che ventenni e un cinquantenne turco: rispettivamente Hasab Hussain, di 22 anni, Khalid Arslan, di 26 anni, e Sami Fuat, di 51 anni. Non sono considerati scafisti poiché per scafista si intende chi effettivamente era alla guida del natante. Tuttavia, i tre uomini sono stati ritenuti colpevoli di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e morte come conseguenza del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, reato introdotto proprio dal decreto Cutro. Non è stata accolta invece la richiesta dell’accusa di naufragio colposo, proprio perché nessuno dei tre era alla guida del caicco. Tuttavia, i due pakistani e il turco erano pienamente all’interno del sistema, del business delle mafie del Mediterraneo che lucrano sui traffici illegali di clandestini. Uno dei tre, del resto, è stato colto con le foto di 74 documenti di identità, dopo aver ricevuto anche delle transizioni bancarie da parte di persone già sbarcate precedentemente. Insomma, il continuo traffico illegale era coadiuvato anche dalle persone responsabili del naufragio di Cutro. Il turco invece era sull’imbarcazione già prima che i migranti fossero caricati, facendo crollare la tesi proposta dalla sua difesa secondo la quale il 51enne sarebbe un dissidente politico di Erdogan in fuga. Aslan, invece, sarebbe partito da clandestino, ma si sarebbe unito all’organizzazione del viaggio durante lo stesso, facendo da interprete. Le condanne vanno dagli 11 ai 16 anni. A 20 anni invece sono stati condannati gli altri due responsabili della strage: il siriano Mohamed Abdessalem, di 26 anni, e il 29enne di provenienza turca Gun Ufuk. Il primo si alternava alla guida del caicco con il capitano dell’imbarcazione il turco Guler Bayram, di 35 anni, morto durante il naufragio. Gun Ufuk, invece, era il meccanico dell’organizzazione e, come per il suo connazionale 51enne, dichiarava di essere un dissidente politico in fuga dalla Turchia.
Non hanno retto, dunque, le tesi dei vari scafisti. Giustizia è fatta, nel limite del possibile, perché se le condanne, anche corpose, sono arrivate, nessuno riporterà in vita il centinaio circa di persone che hanno perso la vita brutalmente a pochi metri dalla costa italiana. Anche per questo il lavoro di ogni governo dovrebbe concentrarsi sull’abbattimento del business criminale che si svolge nel Mediterraneo. Da quando il Governo Meloni ha messo in campo l’ampia e dettagliata strategia, la fitta rete di accordi per bloccare i contrabbandieri di vite umane, non solo sono calati gli sbarchi, ma hanno subito un durissimo stop anche le morti in mare. Il modo migliore e più giusto per salvare vite e svegliarle dal sogno della vita migliore che qui in Occidente non avrebbero mai trovato.