Dal caso Almasri all’Albania: sette giorni in compagnia degli “avvelenatori di pozzi”

Dal caso Almasri all’Albania. Abbiamo vissuto sette giorni in compagnia di un’agguerrita task force di “avvelenatori di pozzi” in servizio permanente ed effettivo.

Ai tempi del liceo, il mio docente di italiano ci spiegava che per “avvelenamento del pozzo” si intende un tipo di fallacia argomentativa per cui ciò che sarà sostenuto dall’avversario viene pubblicamente delegittimato in anticipo insinuando un sospetto circa la sua buona fede o sulla sua credibilità. Ogni cosa che dirà l’interlocutore sarà quindi ignorata, considerata irrilevante o del tutto falsa, da parte degli astanti. L’avvelenamento del pozzo è un caso particolare di argumentum ad hominem. L’origine del termine proviene dalla pratica di gettare una piccola quantità di veleno in un pozzo prima che un esercito nemico invada il territorio, in questo modo tramite una piccola azione si ottengono risultati micidiali. L’espressione fu usata per la prima volta con questo senso da John Henry Newman nella sua Apologia Pro Vita Sua. (fonte Wikipedia). Negli ultimi tempi la presenza di questa scelerata categoria di persone si è moltiplicata, complice non solo la diffusione dei social ma soprattutto di un certo modo di fare politica, basata sulla sensazione del momento, sulla estremistica ignoranza del popolo e sulla comunicazione sensazionalistica tipica dell’era digitale.

Da una parte abbiamo quelli che forse (lasciamogli il beneficio del dubbio) non si rendono conto di agire in modo scellerato: giornali, riviste scandalistiche, siti, gruppi su facebook, canali YouTube pronti a cavalcare l’onda della notizia del momento, senza curarsi delle fonti, dei fatti, delle evidenze e senza avere il rispetto non solo delle vittime, ma principalmente dei fruitori finali delle notizie, cioè i follower, i lettori, i consumatori finali insomma. Persone che pur di aumentare la propria visibilità, il proprio peso sociale, i propri introiti, sbattono il mostro in prima pagina, spesso senza accertarsi veramente né delle fonti né di cosa sia realmente accaduto.  Ma ormai il danno è fatto: la notizia è stata data e la macchina del fango avviata.
I piú pericolosi però sono quelli che avvelenano i pozzi con sistematica e scientifica precisione. E in Italia abbiamo i campioni in questo sport. E mentre gli avvelenatori cercano un altro pozzo da sabotare, l’odio cresce accecando il popolo e distraendolo dai veri problemi di ogni giorno.

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Giovanni Curzio
Giovanni Curzio
Giovanni Curzio, 21 anni, napoletano, studente alla facoltà di Giurisprudenza della Università degli Studi Suor Orsola Benincasa. Da sempre è appassionato di giornalismo sia di cronaca che sportivo. Collabora anche con agenzie di stampa ed emittenti radiofoniche e televisive della Campania.

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