Damasco è libera. Finalmente. La città e i dintorni, ultima importante roccaforte in mano ai ribelli, è stata riconquistata dal Presidente Bashar al-Assad.
La scorsa settimana, ad Astana, in Kazakistan è avvenuto l’incontro tra Russia, Iran e Turchia per i negoziati di pace ed i tre Paesi coinvolti hanno riaffermato il loro impegno per garantire la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale della Siria, in accordo con la Risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Un passo in avanti in questo senso possono essere considerate le dichiarazioni rilasciate a margine dell’incontro da Ahmed Tomeh, capo delegazione dell’opposizione siriana, legata ai Fratelli Musulmani, che in un’intervista a Russia Today ha affermato che sia stato un errore prendere le armi contro Damasco, nonostante l’intenzione dei ribelli non fosse quella di sostituirsi al regime ma favorire un passaggio da quella che loro considerano una dittatura alla democrazia. Tomeh ha affermato, inoltre, che molti esponenti dell’opposizione sono positivamente aperti a trovare una soluzione politica.
All’orizzonte, tuttavia, si apre lo scontro diplomatico tra Iran e Russia, che vorrebbe il ritiro di tutte le forze straniere stanziate sul territorio siriano, comprese le truppe di Teheran. Il Portavoce del Ministro degli Esteri iraniano, Bahram Qasemi, però ha già fatto sapere che i combattenti iraniani, legittimati a rimanere perché chiamati ad entrare nel Paese dal governo di Damasco, rimarranno finché il loro aiuto sarà richiesto e che nessuna forza straniera potrà farli ritirare dal campo. A questa già complessa situazione, si aggiunge la tensione tra Iran e USA che, per l’ipotesi di un nuovo accordo sul nucleare, pone come clausole – tra le altre – proprio il ritiro dell’Iran dalla Siria e il rilascio degli ostaggi americani presenti in territorio iraniano.
Intanto, uno spiraglio di luce in questa complicata matassa arriva dall’incontro tra Putin e Assad a Sochi, che avviene in un momento fondamentale per le sorti della guerra e per la futura stabilizzazione del Paese e dell’area intera, quando l’esercito siriano sta riconquistando il territorio nazionale e infliggendo duri colpi ai gruppi terroristici. Infatti, Assad più volte aveva legato la possibilità di lavorare a soluzioni politiche e diplomatiche solo dopo la liberazione di territori chiave e delle principali vie di comunicazione ed oggi sembra, quindi, ben predisposto a riaprire le trattative per una soluzione non violenta che porti finalmente alla pace. A tal fine, ha anche dichiarato di essere pronto ad avviare un processo di rinnovamento e di aver costituito una delegazione che, presso le Nazioni Unite, sarà incaricata di discutere una nuova Costituzione.
Certamente, il mancato rinnovo delle sanzioni europee alla Siria, in scadenza a giugno, potrebbero aiutare ad ottenere risultati positivi in questo nuovo percorso. Sanzioni che, per altro, starebbero privando il popolo degli aiuti umanitari necessari, come dichiarato da Idriss Jazairy, esperto nominato dal Consiglio di Sicurezza.
Anche in Europa, la situazione sta rapidamente mutando. La Germania sembra aver cambiato strategia e la Merkel, nelle scorse settimane, ha incontrato il Presidente russo Putin, in risposta all’atteggiamento americano che sta destabilizzando gli accordi e la tenuta stessa del cosiddetto blocco occidentale.
La Merkel ha, inoltre, dichiarato che la Germania è intenzionata a partecipare alla ricostruzione delle infrastrutture socio-economiche siriane. La posizione europea sulla Siria e l’avvicinamento alla Russia vanno di pari passi con l’atteggiamento adottato contro gli USA in occasione del ritiro unilaterale dall’accordo sul nucleare con l’Iran e con la decisione di Trump di imporre nuove sanzioni, atti che minano l’alleanza storica tra l’Europa e la potenza d’oltreoceano e che destabilizzano gli equilibri geopolitici che abbiamo conosciuto negli ultimi 70 anni.