La questione globale dei dazi da applicare alle merci importate, posta da Donald Trump a quasi tutto il mondo, deve essere affrontata e discussa con profondo senso pratico, senza ideologismi e senza liquidare l’argomento come un mero pretesto usato dal tycoon per sbandierare il proprio potere davanti ad alleati, vicini di casa e competitor cinesi. Il presidente USA, così come aveva già iniziato a fare durante il primo mandato, mette sul tavolo istanze e problemi reali che non corrispondono a capricci o fanatismi ipernazionalistici. Le realtà amiche o comunque non mosse da ostilità geopolitica e ideologica verso gli Stati Uniti, ci riferiamo ovviamente a Canada, Messico e Unione Europea, destinatarie di una politica di aumento delle tariffe commerciali delineata dalla Casa Bianca, devono senz’altro negoziare e pensare alla difesa dei loro interessi, ma sono tenute altresì a recepire in modo costruttivo i segnali inviati da Trump e a fare i conti con i loro torti perché nessuno è immacolato.
Non c’è dubbio, anche dallo Studio Ovale di Washington bisogna distinguere fra quanto si muove a Ottawa, Città del Messico e Bruxelles, e ciò che viene pianificato a Pechino. Uno scontro fratricida all’interno dell’Occidente non conviene a nessuno come ha sostenuto la nostra premier Giorgia Meloni e occorre trattare con senso di responsabilità. Canada e Messico non hanno collaborato a sufficienza negli ultimi anni con il partner statunitense circa il contrasto, che deve essere continentale, alle migrazioni illegali e ai traffici internazionali di droga. Il Messico è Nord America, ma è anche, diciamo così, una grande Nazione ponte fra gli Stati Uniti e l’America centrale e meridionale, pertanto, esso ha importanti doveri legati al contenimento dei movimenti migratori irregolari che hanno origine nelle aree latinoamericane più povere e si muovono verso nord. Gli USA hanno fornito spesso aiuti al vicino messicano al fine di rafforzarlo nella difesa dei confini e nella lotta al narcotraffico, ma non tutti i presidenti del Messico hanno saputo o voluto fermare le cosiddette carovane di migranti dirette negli Stati Uniti e combattere con serietà i cartelli della droga.
I Capi di Stato di Città del Messico che più hanno militarizzato il confine settentrionale e hanno lavorato assieme alle Autorità USA, contro l’immigrazione illegale e i narcos, sono stati Vicente Fox e Felipe Calderon, entrambi appartenenti al Partito Azione Nazionale, (PAN), di orientamento conservatore, ma sono già trascorsi un po’ di anni dai mandati presidenziali dei due. Difendere un confine terrestre lungo più di tremila chilometri non è una passeggiata anche con l’impegno di tutti, ma se poi una delle due parti in causa non adempie ai propri doveri, il disastro è assicurato. Infatti, gli Stati Uniti hanno subìto sia l’invasione di “latinos” clandestini che quella del micidiale Fentanyl, la droga fatale che sta uccidendo un numero considerevole di persone negli USA, e il nuovo corso instaurato da Donald Trump punta a liberare l’America dalle sacche di illegalità diffusa che hanno trasformato alcuni quartieri di grandi città in zone invivibili e impenetrabili per la gente comune e la polizia. Agitare i dazi con alleati e vicini serve a Trump anche per dare soluzione a problemi non strettamente economico-commerciali.
L’Europa, dal canto suo, e qui sì, entra in gioco soprattutto il commercio internazionale, si è dimostrata in varie fasi storiche, vicine e lontane, più protezionista di colui il quale viene descritto dal 2016 come un inguaribile amante dell’autarchia, cioè, Donald Trump. Il Vecchio Continente non può fare adesso soltanto opera di vittimismo e dimenticare, per citare un esempio molto concreto, il mercato globale dell’automobile. Gli Stati Uniti, forse a partire già dagli anni Settanta-Ottanta, sono stati discretamente invasi da autovetture europee, soprattutto tedesche e svedesi, mentre le Case automobilistiche di oltreoceano hanno esportato assai meno in Europa. Come ben afferma la premier Meloni, non servono guerre di religione fra occidentali, tuttavia, vi sono degli squilibri da rinegoziare e sanare. L’ora della responsabilità in buona parte è già arrivata e Canada, Messico e USA hanno raggiunto un importante accordo mediante il quale Washington sospende i dazi a carico dei vicini per 30 giorni ed essi si impegnano a sorvegliare con più efficacia i loro confini con gli States.
Entrambi hanno promesso la mobilitazione di 10.000 soldati per la protezione delle frontiere e il Messico ha già inviato a nord 8mila militari. Verrà il momento delle trattative fra USA e UE, e l’Unione Europea farebbe bene ad affidarsi a Giorgia Meloni che condivide con Trump un rapporto politico-diplomatico speciale e il medesimo pragmatismo conservatore. Il vero obiettivo di una riformulazione delle regole del commercio internazionale devono essere la Cina e i Paesi Brics. Trump non ha mai voluto affossare la globalizzazione commerciale di per sé, ma si è speso e si spende affinché vi sia una competizione fra concorrenti leali e finora la Repubblica popolare cinese non si è fatta largo nel mondo con encomiabile correttezza.
Cerchiamo di essere ottimisti.
Direbbe un Grande: ai posteri l’ardua sentenza.
Speriamo di essere tra i posteri.
Con affetto
Alessandro
Caro Roberto, apprezzo sempre il tuo equilibrio e la tua visione strategica nel commentare le vicende della politica economica internazionale.
Però ci vuole molto sforzo nel tradurre un comportamento – quello di Trump -, fatto un mix di spacconeria e malizie, in una visione strategica.
L’unica strategia possibile, per gli USA e per l’Occidente, è di difendere la propria economia e la propria civiltà da nazioni predatorie che usano ogni mezzo, economico, militare, diplomatico, per prendere vantaggio sull’Occidente in modo solitamente sleale e violento.
Non la guerriglia commerciale tra partners, che porta solo vantaggio ai nemici dell’Occidente.
Se le auto USA non sono vendute in Europa non è colpa dei dazi. E’ il mercato, amici miei. Fate auto migliori a prezzo puù basso e venderete. Gli USA hanno sempre avuto dazi, come l’UE verso l’esterno, non mi sembra ci siano due pesi e due misure.
Per ora nelle iniziative di Trump vedo solo improvvisazione e spacconeria, come nel carattere dell’uomo, che non è uno statista ma un affarista spregiudicato.
Mao tse tung (o Dong, come si dovrebbe scrivere oggi?) l’avrebbe chiamato “tigre di carta”.
Non gli USA, che sono tigre a tutti gli effetti, ma la persona di Trump.
Mi auguro di sbagliarmi, ma non ci vedo uno statista.
Che Dio ce la mandi buona.
Teniamoci Giorgia, che nel suo piccolo ha la vista lunga, forse proprio perchè, oltre che colta, è sempre una popolana, come anche lei dice.
Con affetto
Alessandro
Carissimo Alessandro, grazie, come sempre, per il Tuo apprezzamento nei miei confronti. Però, stavolta non sono granché d’accordo con Te, (può capitare ogni tanto….hahah). La situazione dell’auto è davvero sempre stata squilibrata a favore dell’Europa. Non c’entra tanto la disparità di qualità o prezzi di fabbrica. Determinati modelli di automobili made in USA a casa loro costano molto meno rispetto a quando oltrepassano i confini UE. Dietro a quella che Tu ritieni la spacconeria di Trump, ci sono invece una logica e una strategia ben precise. Non è improvvisazione secondo me, ma si sceglie di alzare apposta i toni per ottenere risultati concreti e immediati. Per esempio, grazie alla “voce alta” di Trump Panama ha già abbandonato la Via della Seta cinese.
Poi certo, siamo italiani e ci teniamo ben stretta, anzitutto, Giorgia! Un abbraccio, Roberto.