Decreto boss: Toninelli spalleggia Bonafede e spara a zero sulla magistratura.

Sapevamo che avrebbe dato ancora prova di sé e non sbagliavamo. Toninelli torna da protagonista sul palcoscenico della politica italiana, autorevole esponente di una maggioranza che non ha peli sulla lingua, ma che prima di azionarla spesso dimentica di connetterla col corredo neuronale.
In un cinguettio, l’ex ministro delle infrastrutture ha affermato testualmente che il nuovo decreto Bonafede riporta in carcere i boss mafiosi, ponendo rimedio alle scarcerazioni disposte “in autonomia dalla magistratura”.
Così, in pochissime battute, il buon Toninelli dilania il principio di separazione dei poteri e candida il governo ad entrare nella top ten degli Stati autoritari dell’orbe terracqueo.
Ma cosa ci ha voluto dire l’esimio?
Ebbene la dichiarazioni porta con sè una serie di informazioni: in primo luogo che il ministro della giustizia ha dovuto scrivere un decreto per ricondurre nelle patrie galere i boss mafiosi, e poi che questo provvedimento si sarebbe reso necessario a causa delle scarcerazioni effettuate dai giudici in totale autonomia. Ebbene o si crede che i magistrati italiani in virtù di un’improvvisa virata anarco libertaria abbiano scarcerato quasi 400 pericolosi criminali, oppure la costruzione di Toninelli si situa nel campo delle più banali corbellerie, come quelle dette d’acchito a scuola per giustificarsi col prof che ci ha beccati impreparati. Ma qui la posta in gioco è ben piu alta. Qui un politico di maggioranza scherza con il fuoco e cerca di mettere in burletta i capisaldi dello stato di diritto, addossando sulla magistratura le responsabilità di un ministro, che sbugiardato dinanzi all’Italia intera, è dovuto correre ai ripari mettendo una toppa peggiore dello strappo. Bonafede ha colpevolmente inserito nel decreto precedente una norma che ha evidentemente favorito e alleggerito il regime detentivo di boss mafiosi e criminali pericolosi. Bonafede è stato messo alle strette sulla faccenda della nomina a responsabile del DAP, con dichiarazioni gravissime in cui è stato esplicitamente accusato di essersi fatto condizionare dalla mafia, a queste esternazioni il ministro ad oggi non ha fornito che apodittiche e incerte risposte. Bonafede ha dovuto correggere un decreto scritto di suo pugno per riparare ad un errore madornale, rispetto al quale l’agguerrita pattuglia parlamentare di Fratelli d’Italia non è arretrata di un centimetro, incalzando il ministro in aula e non lasciandogli scampo. Oggi arriva Toninelli e mistifica la realtà in modo surreale. Vorremmo seguitare a ridere insieme a lui, come facemmo per il tunnel nel Brennero e per le mille altre perle che ci ha regalato nel tempo, ma questa volta è d’obbligo fermarsi un minuto per ragionare. Onorevole, lei dovrebbe essere in grado di sapere che i magistrati operano sempre in piena autonomia, applicando però le leggi che il Parlamento, dunque lei stesso, scrive. In Italia non si va in carcere perché è il governo che lo dice, questo accade forse in Corea del Nord, ma perché lo stabilisce, in applicazione della legge, un giudice terzo ed imparziale, all’esito di un processo giusto. E anche per i detenuti, i giudici di sorveglianza fanno sì che l’attività penitenziaria e le dinamiche relative alla vita carceraria ed al trattamento del detenuto si svolgano in conformità alla legge. Il decreto che ha consentito le scarcerazioni porta la firma di Bonafede è facile e, consenta, anche vile scaricare sui magistrati la responsabilità. Ebbene è troppo sperare che la propaganda arretri almeno di fronte a queste che sono le più basilari regole di democrazia? Oggi Toninelli è andato ben oltre il “noi consentiamo” del premier e ha debordato, senza rendersi forse neanche conto di aver inferto un colpo durissimo alla tenuta del sistema democratico, già asfittico per i traumi sin ora sofferti. Infine, per dovere di cronaca, il decreto boss, come è stato roboantemente battezzato, non solo è un pasticcio che mina l’autonomia della magistratura, ma nel merito semplicemente introduce un obbligo di riesame delle condizioni del detenuto da parte del magistrato per valutare la possibilità di tradurlo nuovamente in carcere. Mai della fuffa fu così dannosa. Dunque, per favore, facciamo che non tutto si può dire e che tornare a rispettare le istituzioni diventa il primo passo per ottenere il diritto di essere presi almeno in considerazione come interlocutori, perché se le cose le fanno e le dicono così, qui non ci sono neanche le premesse per intavolare un dialogo.

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