Decreto Dignità: Di Maio si riprende la scena, ma mette a rischio 900mila precari

E’ fatta, lunedì sera il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera al decreto legge cosiddetto di Dignità presentato dal ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, e la prima cosa che ci viene in mente sbirciando tra le novità proposte dal governo, è il gioco del Monopoli, dove ci sono quei due mucchietti di carte da cui ogni tanto ne devi pescare una, e non sai se troverai un’opportunità favorevole o un imprevisto che renderà tutto più difficili. In pratica, l’unica cosa chiara è che Di Maio mira a smontare il renziano Jobs act, il che potrebbe non essere un male ma, contemporaneamente, lo fa con decisioni che in alcuni passaggi hanno il suono del dirigismo, perché sembra quasi che si vogliano creare posti di lavoro per legge, che non si fa se non vuoi compromettere quel po’ di sana economia che è rimasta a questa Nazione.

Ma andiamo per ordine. Il primo attacco pesante, il governo lo porta al precariato che, appunto, detto così appare cosa buona e giusta se non fosse che in questa contingenza c’è il rischio di perdere 900mila posti di lavoro per quei contratti che stanno andando a termine e che rischiano di non venire rinnovati. Infatti, la durata dai contratti passa da 36 a 24 mesi al massimo, mettendo in discussione molte posizioni e rischiando di andare ad aggravare o appesantire quei pochi bilanci ancora attivi delle aziende italiane. Per carità, sarebbe bello avere tutte posizioni lavorative a tempo indeterminato, non temporanee, ma la situazione è quella che è, e non si può decidere con un decreto la rinascita economica di una nazione. Ma Luigi Di Maio e i suoi consiglieri non sembrano essersi creati troppo il problema di quanti dei contratti precari in essere grazie a questa nuova norma verranno convertiti in contratti definitivi, o quanti semplicemente finiranno di esistere. Luigi rivoleva la scena che troppo spesso nell’ultimo mese Salvini ha oscurato, e perciò è andato giù con mano pesante se non altro per poter affermare davanti a una moltitudine di cronisti eccitati che “il Decreto Dignità è la Waterloo del precariato”. Per fortuna, anche se non si rivolge ai precari, è stata almeno inserita la norma che prevede un aumento del valore dell’indennità di licenziamento per quei lavoratori che verranno licenziati ingiustamente, passando da un massimo di 24 a un massimo di 36 mesi.

Nel decreto è’ anche prevista una penalizzazione per le aziende che delocalizzano e che abbiano ricevuto aiuti di Stato. Non potranno farlo prima dei 5 anni dalla fine degli investimenti agevolati pena sanzioni da 2 a 4 volte il beneficio ricevuto,  beneficio che andrà anche reso con interessi maggiorati fino al 5%. Giusta punizione, probabilmente, ma non sarebbe stato meglio multare meno ma sottrarre alle aziende che delocalizzano la possibilità di ottenere commesse pubbliche? Quello sì avrebbe fatto riflettere molti consigli d’amministrazione.

Altra novità presentata dal decreto è uno stop totale agli spot sul gioco d’azzardo, che dal prossimo anno prevede anche il taglio delle sponsorizzazioni. Quest’ultimo passaggio potrebbe costare solo alle squadre della serie A investimenti fino a 120 milioni, non poco. Riguardo a ciò, il deputato di Fratelli d’Italia, Alessio Butti, ha detto:Io sono e rimarrò sempre contro il gioco di azzardo e contro tutto quello che ci gira intorno. E la ludopatia é un problema da affrontare e risolvere. Così come devono essere sconfitti l’alcolismo e la droga. Ma non si interviene mai con un decreto di urgenza, con un colpo di mano, dall’oggi al domani per disciplinare una materia così complessa. Come ho detto, ci vuole intelligenza, perché così si fa solo male alle televisioni (che vivono di pubblicità) e agli sport (che vivono di sponsorizzazioni) e si favorisce il mercato clandestino”, pensiero condiviso da molti, anche all’interno del governo, per esempio tra vari esponenti leghisti che non hanno nascosto una spiccata contrarietà a molti dei passaggi del decreto Dignità, chiaramente tutta “farina del sacco pentastellato”.

Manca invece, come denunciato da Giorgia Meloni che ha definito questo decreto “marxista”, l’abolizione del redditometro, promessa dal centrodestra in campagna elettorale. L’odioso strumento del fisco avrà solo un altro decreto attuativo dopo un non meglio chiarito “consulto” con l’Istat e i consumatori. Rimane pure lo Spesometro, altra bruttura italica, anche se la scadenza trimestrale per la presentazione sarà prorogabile.

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RK Montanari
RK Montanarihttps://www.lavocedelpatriota.it
Viaggiatrice instancabile, appassionata di fantasy, innamorata della sua Italia.

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