Dialogo e confronto: la ricetta di Meloni e la lezione alla Cgil

Solo pochi giorni fa, Giorgia Meloni ha aperto ancora una volta la strada per un dialogo con la magistratura in merito alla riforma della giustizia, malgrado la maggioranza abbia dalla sua parte i numeri in Parlamento e il favore dell’elettorato italiano (niente affatto da escludere, in vista del probabile referendum). “Auspico che, da subito, si possa riprendere un sano confronto sui principali temi che riguardano l’amministrazione della Giustizia nella nostra Nazione, nel rispetto dell’autonomia della politica e della magistratura” disse la premier in occasione dell’elezione del nuovo presidente dell’Anm, Cesare Parodi. Il dialogo dunque può essere l’arma vincente per superare difficoltà e divisioni e può aiutare ad apportare quelle migliorie a cui il singolo non può arrivare.

Dialogare fa la differenza

E ancora dialogo, confronto, collaborazione, sono le parole chiave per un approccio nuovo anche al mondo del lavoro. Giorgia Meloni, al congresso della Cisl di ieri, ha ribadito con fermezza che deve essere questa la strada da seguire, l’unica possibile per arrivare a dei risultati che possano soddisfare tutti. Nella giornata che ha visto Daniela Fumarola diventare il nuovo segretario del sindacato, Meloni ha rivolto alcune parole al segretario uscente, Luigi Sbarra: “Anche quando non siamo stati d’accordo sapevamo che avevamo di fronte qualcuno a cui interessava il bene dei lavoratori e i problemi concreti dei cittadini, non semplicemente il bene dell’organizzazione che rappresentava, o addirittura il bene di una parte politica”. Il dialogo è dunque fondamentale: “Nessuno può avere da solo le risposte a tutte le domande e saper ascoltare fa la differenza, soprattutto quando l’interlocutore che ti trovi di fronte non ha pregiudizio, ma guarda al merito con onestà”. E con la mente, ovviamente, si va a quei sindacati che, invece, rifiutano con forza l’idea del dialogo, con il governo italiano (se di centrodestra, ovviamente) e a quanto pare anche con altre Istituzioni (memorabile il rifiuto della Cgil a minimizzare gli scioperi durante il Giubileo per limitare i disagi per pendolari e turisti: ci manca solo uno sciopero contro il Papa e possiamo dire di averle viste tutte). È una lezione per quelli della ‘rivolta sociale’, termine forte, ai limiti del nostro ordinamento democratico, rivendicato e mai rinnegato da chi lo pronunciò, quel segretario del sindacato rosso, Maurizio Landini, tanto cieco e sordo da non vedere gli ottimi risultati macroeconomici conseguiti dal nostro governo e da non sentire come la stampa internazionale lodi l’operato dell’esecutivo.

Strano che in passato nessuno invocasse la rivolta sociale

Giorgia Meloni qualche sassolino dalla scarpa se l’è tolto: “Nell’ultima legge di Bilancio – ha detto – abbiamo ampliato i benefici a circa 1,3 milioni di lavoratori con redditi tra i 35 e i 40mila euro annui e abbiamo ottenuto che fossero banche e assicurazioni a concorrere alla copertura di questi provvedimenti. Lo ricordo perché lo considero un netto cambio di passo rispetto ai tempi nei quali i proventi delle tasse dei lavoratori venivano utilizzati per sostenere banche e assicurazioni senza che nessuno per questo invocasse la rivolta sociale”. In pratica, si può dire che per i lavoratori è stato fatto più in due anni di governo di destra che in dieci anni di governi di sinistra: “Io – ha aggiunto Meloni – vengo da una storia politica che lungo tutto il suo corso ha fatto del tema della partecipazione dei lavoratori uno dei punti qualificanti della propria proposta economica. Ed è la ragione per la quale il governo ha assicurato una copertura di 72 milioni di euro per il 2025, e continuerà a fare la propria parte per arrivare il prima possibile al suo via libera, perché approvare una legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa ci permette di dare finalmente attuazione, 77 anni dopo, all’articolo 46 della Costituzione”. Anche questi sono i risultati di quel dialogo rifiutato da una certa parte politica che, in tutte le sue declinazioni, resta ideologica e aprioristica.

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