Quo usque tandem? Fino a quando, non solo, si abuserà della pazienza (degli italiani), parafrasando Cicerone; ma fino a quando potrà durare una compagine di governo che occupa la scena “drammatizzando” i rapporti fra i leader per celare l’immobilismo, frutto delle irredimibili divisioni interne?
A meno di un mese dal voto delle Europee – con l’exploit leghista inversamente proporzionale al disastro dei 5 Stelle – lo schema non è cambiato: nonostante la golden share di Matteo Salvini, il blocco del “no”, targato Di Maio & co, non si limita alla solita operazione “freno-motore” sui temi dello sviluppo e degli investimenti. No, sta facendo decisamente di più.
Da settimane (complice anche il confuso scenario del polverone Russiagate) il gotha del M5s, d’intesa con il Pd di Zingaretti e sotto l’attenta regia del “partito del Quirinale”, sta procedendo a formulare oltreconfine, a Bruxelles, la prova generale del “piano b”: quell’esecutivo di emergenza, tale Conte bis, che si staglierebbe – nello schema dei suoi architetti – come il muro per frenare i “rubli” (che, semplicemente, non esistono). Il ticket Sassoli-Castaldo all’Europarlamento, la maggioranza Pd-Forza Italia-5 Stelle a sostegno di Ursula von der Lyen, la volontà di proporre un commissario europeo di natura “tecnica”, ossia diretta emanazione del Colle, tracciano dunque un canale pronto a diventare l’affluente principale del fiume in caso di crisi di governo.
Tutto questo per quale motivo? Per impedire “ex ante” l’approdo naturale della volontà popolare in questa stagione: ossia la vittoria alle urne di una proposta targata Lega-Fratelli d’Italia pronta, lo registrano tutti i sondaggi, a ottenere larga maggioranza e quindi pieno mandato per attuare quel programma (sviluppista, quindi sociale, pro-family e a difesa dei confini) che emerge empiricamente dal voto espresso dalla più piccola città allo snodo continentale.
Secondo i retroscena è questo, in fondo, il motivo del tentennamento di Salvini: dopo la crisi – si dice – non vi è sicurezza delle urne, mentre un nuovo governo tecnico sembra già in avanzata fase di composizione. Per carità, non si tratta di un’ipotesi di scuola, dato che si è già visto la capacità dell’establishment di bypassare il responso democratico; e volendo, poi, un’eventualità del genere si tradurrebbe nel suicidio elettorale dei contraenti a tutto vantaggio di un’opposizione sovranista che avrebbe campo aperto e argomenti a bizzeffe per gridare al nuovo golpe bianco. C’è da osservare, inoltre, che lo stesso cul-de-sac in cui si ritrova oggi Salvini non è (ancora) sanzionato dagli elettori.
Eppure, nonostante tutto questo, l’opzione scelta da Giorgia Meloni (opposizione “nazionale”, distanza totale nei confronti delle misure dei 5 Stelle), premiata dagli italiani parallelamente al Carroccio, si presenta oggi più mai come l’occasione d’oro, il treno da non perdere, per il leader della Lega. Sta qui, nel voto anticipato, la chiave di volta per lanciare un messaggio chiaro ed un’assunzione di resposabilità nei confronti degli italiani, invece che proseguire con le ammuine che rischiano di costare caro non solo al credito personale che ha ottenuto il ministro dell’Interno ma alla stessa possibilità di agganciare l’Italia alla ripresa.
Se il governo tecnico e il suo “laboratorio europeo”, dunque, vanno scongiurati e smascherati in tutte le salse, la maggioranza “naturale”, espressione diretta delle urne, è pronta per dieci buoni motivi. Il primo è l’organicità di fondo, dato che gli italiani hanno detto in questo anno e mezzo di volere una proposta identitaria, orientata allo sviluppo e alla promozione del ceto medio: frutto, cioè, di un programma organico che parla a un intero blocco sociale e non dell’astrazione di un contratto incapace di disegnare un percorso di società.
Un programma che spiega come il Pil si rilancia a partire dagli investimenti pubblici e che per ottenere ciò non è più eludibile il tema delle grandi opere (quelle giuste) e della messa in sicurezza di tutte le fragilità (scuole, edifici pubblici) presenti sullo Stivale. L’Italia non riparte se non riparte la domanda interna: meccanismo che si ridesta solo con una riduzione massiccia delle tasse (la Flat tax) capace di generare nel ceto medio la propensione a spendere nuovamente e a rimettere in moto, a sua volta, gli investimenti privati. Investimenti, di regia pubblica e di mano privata, che mettono in moto nuovamente il mercato del lavoro che non avrà più bisogno (se mai ne avesse avuto bisogno prima) di misure a sfondo assitenzialistico come il reddito di cittadinanza ma al quale si potrà affiancare una contrattazione di secondo livello che coinvolga, oltre i lavoratori, pure i territori. I due asset della “difesa”, infine, saranno occupati dal blocco dell’immigrazione clandestina (che superi le buone intenzioni dei “porti chiusi”) e dalla tutela della famiglia, con un reddito – questo sì – garantito davvero a chi lo merita: a chi investe, fin dal principio, sugli italiani.