Dopo Fca, anche Autostrade per l’Italia vuole la garanzia statale

Dopo la richiesta delle garanzie statali per un prestito di oltre 6 miliardi da parte della Fiat, che sta facendo molto discutere, negli ultimi giorni un’altra azienda ha seguito le orme degli Agnelli, accendendo ulteriormente le polemiche, tanto all’interno della politica, quanto nell’opinione pubblica. Si tratta della richiesta della società Autostrade per l’Italia, ancora in pieno altomare per le inchieste sul crollo del Ponte Morandi, che vorrebbe 1,2 miliardi di garanzie statali. A confermarlo negli scorsi giorni  è stato direttamente l’amministratore delegato della società Roberto Tomasi in un’intervista a Il Sole 24ore. Ma non è tutto, perché a quanto emerso, Aspi non sarà l’unica azienda che fa capo alla famiglia Benetton che sta valutando la richiesta alle banche di prestiti ‘assicurati’ dalla garanzia statale, che quindi per l’intero gruppo si aggirerebbe in totale intorno ai 2 miliardi. Ad avere il peso maggiore nella decisione è il ministero dell’Economia, guidato da Roberto Gualtieri e che detiene il controllo della Sace, la società alla quale spetta il compito di garantire i prestiti. E Gualtieri non ha voluto porre, al momento, condizioni nemmeno a Fca.
Ma quali condizioni dovranno essere rispettate per ottenere quel prestito? I paletti previsti dal decreto Liquidità, ora in fase di conversione in legge, sono piuttosto blandi. Sede in Italia: Fca Italy lo rispetta. Rinuncia a distribuire dividendi per un anno: il gruppo si è mosso d’anticipo e ha annunciato lo stop già la settimana scorsa. Quanto allo spauracchio di una – ulteriore – delocalizzazione delle attività, il testo iniziale non prevedeva nulla di specifico. Una norma ad hoc a dire la verità è prevista dal decreto Dignità, (DL 87/2018, convertito nella Legge 96/2018) ma riguarda gli aiuti di Stato tout court e non le garanzie.
Le polemiche intorno a tale prestito sono più che giustificate: FCA in Italia è stato l’emblema di una società storica in fuga dal nostro Paese per ragioni normative, produttive e fiscali, insomma per risparmiare sui costi.  Del resto è notorio come l’Italia abbia una burocrazia ipertrofica, una gestione dei contratti di lavoro inefficiente e, soprattutto, una pressione fiscale insostenibile se vuoi competere sul mercato globale. Bene, ma adesso come la mettiamo con il maxi-prestito?
Non dimentichiamoci che i vertici stanno trattando la fusione con Peugeot, controllata dallo stato francese. Anni fa, dopo la fusione con Chrysler, gli Elkann sotto la gestione del compianto Sergio Marchionne hanno deciso di avvalersi delle normative vantaggiose dell’Olanda in tema di mantenimento del controllo societario, della fiscalità più favorevole di Londra e di spostare di fatto il quartier generale dello storico marchio a Detroit, con Torino a presidiare l’Europa.
Non possiamo permetterci né di perdere ciò che resta di FCA sul nostro territorio, né di regalare garanzie ad aziende che le sfrutteranno per ottenere liquidità da investire in altre realtà concorrenti alla nostra. E allora cosa fare?  Di sicuro pretendere che la fusione con Peugeot non si riveli l’ennesimo depotenziamento della produzione in Italia cercando di ottenere la garanzia ufficiosa che nei piani industriali aziendali vi sarà maggiore spazio per il nostro Paese.

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Letizia Giorgianni
Letizia Giorgianni
O te ne stai in un angolo a compiangerti per quello che ti accade o ti rimbocchi le maniche, con la convinzione che il destino non sia scritto. Per il resto faccio cose, vedo gente e combatto contro ingiustizie e banche. Se vuoi segnalarmi qualcosa scrivimi a info@letiziagiorgianni.it

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