Qualcuno dice che con tutte le sue storture, le sue incapacità e la sua debolezza, la politica della Prima Repubblica fosse nettamente superiore a quella attuale, fatta se non altro da personalità di livello, persone capaci, preparate e colte, che certo non avrebbero sbagliato i congiuntivi o posizionato Matera in Puglia. Altri rispondono che magari era anche così, ma almeno oggi non ci sono solo politici occupati a mettere le mani in tasca agli italiani per fregargli il portafoglio. In tutto questo, due cose accomunano la politica che fu da quella dei giorni nostri: la propensione al compromesso.
All’epoca fu il “compromesso storico”, oggi di storico c’è pochino, ma di compromessi sembra proprio che se ne facciano giornalmente, e non sono neanche tra maggioranza e opposizione, ma tutti proprio all’interno della maggioranza stessa. Ha un bel dire Salvini che “ah come si governa bene coi 5stelle!”, quando sa benissimo che ogni azione, ogni decisione deve essere lungamente discussa e magari barattata con altro, perché c’è davvero poco che accomuni la Lega al Movimento di Grillo, se non una certa propensione ad alzare i toni per distrarre l’attenzione da quel che conta davvero, e l’assoluta convinzione che di questi tempi se riesci a prenderti una poltrona, fai anche bene a tenertela stretta.
Così, se Salvini deve tacitare i suoi, anche Di Maio ha il suo bel daffare a giustificare certe decisioni che proprio non vedono tutto il Movimento allineato, ma anzi contribuiscono giornalmente a far crescere quella fronda che vede in Fico – e forse pure in Di Battista – il capo. Tra l’altro, un bel salto di qualità per Fico che qualcuno era convinto di neutralizzare piazzandolo sulla poltrona che fu della mai rimpianta Boldrini, ma sbagliando completamente i conti.
Ne consegue che qualsiasi cosa concluda l’esecutivo, è frutto di un continuo, operoso e oneroso, compromesso. Ovviamente, al ribasso dal punto di vista dell’elettore, sempre che dell’elettore interessi qualcosa a qualcuno, dubbio che sorge quando si nota quanto ormai sia confuso e insicuro. Così, se Salvini vuole la Flat Tax o “tassa piatta”, come sarebbe più giusto chiamarla, ecco che Di Maio parla subito di ben tre aliquote diverse, il che cancellerebbe completamente il concetto di “Tassa piatta”, diventando tutt’altro. E allora Salvini, per amor di compromesso, annuncia una Flat tax al 15% ma solo per le partite IVA. Però, di contro, non si fa scappare l’occasione per mettere bocca sul reddito di cittadinanza, asserendo che non deve essere una scusa per stare a casa e, contemporaneamente, non lasciando dubbi su quanto non lo gradisca. E quindi, rincara la dose, annunciando un incontro con il Cavalier Berlusconi in vista delle prossime amministrative in Abruzzo perché “ah come si governa bene con i 5stelle, ma anche con FI e Fratelli d’Italia, lì dove siamo insieme a livello locale, si governa benissimo”. E solo a nominare l’uomo di Arcore – Salvini lo sa – è come sventolare un drappo rosso davanti al toro grillino.
E infatti Di Maio subito interrogato in materia, cerca di darsi un tono distratto e fa sapere che: “sono fatti del centrodestra, noi abbiamo un contratto da realizzare, e possiamo accettare anche la flat tax purché non aiuti i ricchi, ma la classe media, le persone disagiate che pagano le tasse da una vita”. E ribadisce che comunque, prima di tutto, si farà il reddito di cittadinanza. E intanto che i due vice-premier “contendenti”, oltre a fare la gara a chi la spara più esagerata cercano l’ennesimo compromesso, ecco aprirsi il fronte pensioni, col ministro leghista Brambilla, che si dice contrario all’idea pentastellata annunciata da Laura Castelli di portare da subito a 780 € le pensioni minime. E via a cercare un possibile compromesso pure su questo, insieme a quello che servirà di sicuro sulla questione della legittima difesa, che vede anche qui Lega e 5 stelle su posizioni diverse, per non parlare di come trovare un accordo sulle tensioni tra Salvini e i magistrati. Da una parte il Ministro degli interni rilancia il discorso tanto caro a Berlusconi sulla suddivisioni delle carriere, dall’altra trequarti dei pentastellati lo critica, e poco comprende l’atteggiamento di eccessiva aggressività notato in questi giorni, ribadendo tutta la fiducia possibile nei confronti delle toghe, erilanciandosi come il nuovo “partito dei magistrati” adesso che il PD sta tirando le cuoia.
In tutto questo, c’è in effetti una cosa su cui Di Maio e Salvini sembrano essere d’accordo senza bisogno di compromessi, e cioè non andare a elezioni anticipate. Su tutto potranno trovare un punto d’incontro, affermano convinti. Certo, prima bisogna riuscire a mettersi d’accordo sulla data delle riunione…