Nel cuore della Cisgiordania, a Hebron, mentre l’eco del 7 ottobre ancora scuote ogni equilibrio della regione, un gruppo di sceicchi tribali ha deciso di riscrivere le regole del gioco. Non chiedono uno Stato palestinese. Non invocano una nuova Intifada. Non cercano intercessori a Bruxelles né patrocini da Ramallah. Vogliono altro: la nascita di un emirato tribale indipendente, riconosciuto da Israele, svincolato dall’Autorità Palestinese e pronto a unirsi agli Accordi di Abramo.
È una proposta che spiazza per chiarezza e audacia. A firmarla è Sheikh Wadee’ al-Jaabari, figura rispettata e leader di una delle più potenti famiglie della regione. Con lui, altri venti sceicchi che rappresentano oltre mezzo milione di abitanti del distretto. In una lettera indirizzata al ministro dell’Economia israeliano Nir Barkat, dichiarano apertamente di voler voltare pagina: «L’Emirato di Hebron riconoscerà lo Stato di Israele come patria del popolo ebraico», si legge nel documento. In cambio, chiedono solo di essere riconosciuti come legittimi rappresentanti degli arabi di Hebron.
Una proposta che nasce dalla delusione, ma che guarda al futuro. “Non ci sarà mai uno Stato palestinese, neanche tra mille anni,” ha detto lo sceicco Jaabari. Non è una provocazione: è una diagnosi. E da quella diagnosi parte una nuova traiettoria geopolitica.
La crisi del paradigma Oslo e la nuova geografia del disincanto
Il fallimento dell’Autorità Palestinese, installata in Cisgiordania con gli Accordi di Oslo del 1993, è diventato manifesto dopo il 7 ottobre 2023. Da allora, la fiducia degli israeliani è crollata, ma anche molti palestinesi non vedono più nell’AP un riferimento credibile. “Nessuno crede più nell’AP, né in Israele né tra i palestinesi”, ha dichiarato Barkat, che ha incontrato più volte i promotori dell’iniziativa nella sua abitazione.
Gli sceicchi parlano esplicitamente di “fallimento politico e morale”, accusano l’AP di essersi trasformata in una struttura parassitaria, intenta a raccogliere tributi e a distribuire prebende, spesso a favore dei terroristi. “Ci hanno rubato anche l’acqua”, denuncia uno di loro. “Sopravviviamo solo grazie al collegamento idrico costruito da Israele con Kiryat Arba”.
La proposta dell’emirato nasce da qui: dalla volontà di ripristinare un’autorità tribale legittima, che esiste da secoli e che conosce davvero il territorio, i suoi bisogni, i suoi equilibri.
mirato, clan, Accordi di Abramo: cosa prevede il piano
Il piano proposto è dettagliato. Prevede:
- la creazione di un emirato tribale a Hebron, guidato dai clan storici e fondato sul riconoscimento reciproco con Israele;
- l’ingresso nell’architettura regionale degli Accordi di Abramo, con negoziati ufficiali da calendarizzare;
- la realizzazione di una zona economica congiunta su oltre 1.000 ettari, in grado di impiegare decine di migliaia di lavoratori palestinesi;
- l’invio iniziale di 1.000 lavoratori in Israele, con un ampliamento progressivo fino a 50.000, sotto impegno di “tolleranza zero” verso il terrorismo.
A sostenere l’idea vi sono anche attori politici e accademici israeliani. Il piano si ispira alla “dottrina degli emirati” sviluppata dallo studioso Mordechai Kedar, secondo cui la frammentazione culturale e tribale del mondo arabo rende inefficaci i modelli statali moderni. Meglio un sistema confederale di emirati autonomi, sul modello del Golfo, ognuno guidato dalla sua famiglia nobiliare e leale alla sicurezza regionale.
Israele, Stati Uniti e il nervo scoperto di Ramallah
La reazione israeliana è cauta ma curiosa. Netanyahu ha dato il suo assenso informale, in attesa di verificare la stabilità dell’iniziativa. L’apparato di sicurezza, in particolare lo Shin Bet, resta invece scettico, temendo che la frammentazione delle autorità locali possa sfuggire di mano.
Gli Stati Uniti, sotto la nuova amministrazione Trump, sembrano invece più disponibili. L’ambasciatore Mike Huckabee ha già dichiarato che uno Stato palestinese in Cisgiordania non è più un’opzione realistica, e che è tempo di “nuovo pensiero”.
L’Autorità Palestinese, dal canto suo, ha reagito con stizza e timore. Gli uomini di Jaabari dominano militarmente il territorio e godono di ampio consenso popolare. Ramallah è vista da molti come una presenza estranea, paracadutata dalla storia. Non a caso, nel 2007, dopo l’uccisione di un giovane della famiglia Jaabari da parte della polizia palestinese, i clan presero il controllo della stazione di polizia, bruciarono i veicoli e tennero in ostaggio 34 agenti.
Emirati tribali e geopolitica: un Medio Oriente post-statale?
Se Hebron dovesse riuscire a formalizzare la nascita di un emirato, il modello potrebbe replicarsi altrove: a Betlemme, a Jenin, persino a Gaza dopo Hamas. È l’idea di una “balcanizzazione guidata” della questione palestinese, che superi la retorica nazionalista con un approccio territoriale, tribale, pragmatico.
Certo, il rischio è quello di un mosaico ingestibile. Gli oppositori parlano di caos armato, milizie autonome e guerre interclaniche. Ma i promotori rispondono con pragmatismo: “Noi viviamo qui, sappiamo chi sono i terroristi e chi no. Non abbiamo bisogno di ideologie, ci basta lavorare e vivere in pace”.
Se Israele si tirerà indietro per abitudine, o per proteggere l’inerzia degli Accordi di Oslo, il momento potrebbe svanire. Ma se deciderà di scommettere su questa proposta, insieme al supporto USA, la nascita del primo emirato arabo filo-israeliano in Cisgiordania non sarà più un’ipotesi. Sarà un fatto.