Dire che brindammo quando Ignazio Marino fu eletto sindaco di Roma, sarebbe una grande bugia. Ma lo sarebbe anche sostenere che ne fummo anche solo moderatamente soddisfatti. La guida del Campidoglio ormai da decenni nelle mani della sinistra, con la breve parentesi di una consiliatura insufficiente come quella di Alemanno, avevano ormai ridotto al minimo le speranze di vedere Roma sotto una guida valida, vogliosa di cambiamento, pronta a mettere sottosopra la città, con o senza l’aiuto dei cittadini, fino a renderla quella capitale europea come l’Urbe meriterebbe di essere, la più bella considerato le vestigia inarrivabili che possiede di suo, il fascino della storia millenaria, un clima baciato dal sole.
All’epoca, però, Marino aveva un suo certo fascino, se non altro perché arrivava dalla società civile e soprattutto per chi non era di sinistra andava a sostituire l’enorme delusione rappresentata da Alemanno, che per pochi giorni aveva fatto gridare al miracolo salvo dimostrarsi una sorta di Dottor Tentenna, buono per tutti e per nessuno, disponibile più ad accontentare gli avversari che i suoi elettori, e convintamente assiso sotto le gonne di qualche cardinale che con clericale furbizia gli aveva fatto credere di appoggiarlo e proteggerlo. Perciò, tutto sommato, che Alemanno non fosse stato rieletto, non era stata una ferita per il popolo della destra, ma anzi una sorta di contrappasso che picchiava duro lì dove doveva.
Restava appunto Marino. Se magari si fosse mosso con un minimo di competenze, e buona volontà, magari avrebbe trovato un più vasto appoggio popolare, ma purtroppo era davvero il più sprovveduto dei sindaci che potesse capitare a Roma. Almeno fino a quando non era cominciata la terribile offensiva a 5 stelle, detta anche lo Tsunami del Tevere o, se preferite, lo “Sharck attacks dei grillini volanti”.
L’offensiva pentastellata nei confronti del chirurgo prestato alla politica, si dimostrò feroce e puntualmente sostenuta da qualche magistrato sensibile alla politica del vaffa, e così dall’oggi al domani il povero Marino si ritrovò terminale di tutti i mali della città, dalle buche per la verità a quell’epoca ancora sopportabili, al verde pubblico poco curato, al traffico sempre caotico. Insomma, tutte quelle problematiche che i romani e non solo conoscevano già bene ma che mai pensavano potessero peggiorare in modo tanto tragico negli anni a seguire. Alla fine, tra un avviso di garanzia per cene offerte ad amici coi soldi del Campidoglio e la Panda della moglie posteggiata in divieto di parcheggio, il povero Marino fu costretto alle dimissioni. Gli successe fino alle elezioni un commissario prefettizio seguito poi dalla grillina Virginia Raggi, una sciagura che Roma non si meritava proprio. Però, all’epoca, nessuno poteva anche lontanamente immaginare che la stagista dello studio Previti potesse fare tanto peggio di tutti i sindaci che avevano imperversato in questa città dal da che si poteva ricordare. Al punto che si è arrivati a rimpiangere il povero Marino e, ahinoi, anche il terribile Alemanno.
Così appare quasi uno schiaffo in faccia ai romani che oggi, a distanza di qualche anno, la Corte di Cassazione abbia assolto Ignazio Marino dall’accusa di peculato e falso per la vicenda degli scontrini delle cene di rappresentanza quando era il primo cittadino di Roma. I giudici della Suprema Corte hanno infatti annullato senza rinvio la condanna a due anni di reclusione “perché il fatto non sussiste” dopo che l’ex sindaco era stato assolto in primo grado e poi condannato in appello. A saperlo, potevamo tenercelo. Avrebbe fatto meno danno della Raggi, che probabilmente conoscendo i grillini come li conosciamo ora, avrebbe se non altro faticato per arrivare alla poltrona di primo cittadino dell’Urbe.
A questo punto, è giusto dare voce anche a Marino, che qualche sassolino nella scarpa l’ha tenuto a lungo. Dice Ignazio: “Per le valutazioni politiche e le responsabilità individuali ci sarà tempo, domani. Oggi è il tempo delle considerazioni personali. E non posso che ripetere a testa alta, come ho sempre fatto, ciò che ho sostenuto dal primo giorno in cui mi sono state rivolte accuse infondate e infamanti: non ho mai utilizzato denaro pubblico per finalità private. E’ piuttosto vero il contrario. E finalmente oggi è chiaro e tutti, anche a coloro che mi hanno infangato provocando dolore e imbarazzo a me e alla mia famiglia.” Ha poi continuato: “Hanno vinto la verità e la giustizia. Era ora. La sentenza della Cassazione non rimedia alla cacciata di un sindaco democraticamente eletto e di un’intera giunta impegnati senza fare compromessi per portare la legalità e il cambiamento nella Capitale d’Italia. Una ferita per la democrazia che non si rimargina”.
Da ricordare che si contestavano a Marino cene per 13000 euro. Poi arrivarono i grillini, e la loro presunta e sbandieratissima “onestà… onestà…” E guardate un po’ come è finita.