È il Governo a decidere i Paesi sicuri: lo schiaffo della Cassazione alle toghe rosse

Nel grande trambusto delle sentenze dei giudici a favore di clandestini, quella di Palermo in primis, poi quella famosa di Roma e infine, l’ultima, a Catania, c’è da dire che la Cassazione aveva già detto la sua sul rispetto della lista dei Paesi sicuri. Dalla sua sentenza, si deduce che la famosa lista che il Governo emana sui Paesi sicuri non può essere ignorata e il giudice che intende disapplicarla, deve farlo con un fondato motivo, documentato e ben spiegato: deve insomma provare che il Paese dichiarato da lui insicuro per il singolo migrante in questione sia effettivamente insicuro.

La Cassazione è chiara: servono le prove

A scanso di equivoci o di critiche, lo diciamo da subito: la sentenza della Cassazione è arrivata alcuni giorni prima del 4 ottobre, quando la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha emanato l’ormai famosa sentenza dalla quale è nato il principio della territorialità, quello cioè per il quale un Paese non può essere considerato sicuro se l’intero suo territorio non lo è, se cioè ci sono porzioni di Stato che sfuggono al controllo del governo centrale e al rispetto dei diritti fondamentali. Principio che è stato prontamente utilizzato dai giudici nostrani come motivazione per evitare, ignorare la lista dei Paesi sicuri. Malgrado ciò, la sentenza della Cassazione emana un principio che è comunque più forte del conflitto di competenza tra norma comunitaria e legge nazionale. Come riportato questa mattina dal Giornale, la Cassazione ha deciso che “l’inserimento del paese d’origine del richiedente nell’elenco dei paesi sicuri produce l’effetto di far gravare sul ricorrente l’onere di allegazione rinforzata in ordine alle ragioni soggettive e oggettive per le quali invece il paese non può considerarsi sicuro”. Il concetto è dunque chiaro: se un Paese è nella lista, servono delle prove certe per dichiararlo, soltanto in quel singolo caso concreto, insicuro.

Il caso del cittadino marocchino

La Cassazione ha emanato la sentenza in merito al caso di un cittadino marocchino, accusato di essere un trafficante di esseri umani e per il quale il Marocco aveva chiesto l’estradizione. Estradizione negata dai giudici di Brescia in quanto il Marocco, pur comparendo nella lista, è stato ritenuto insicuro. “Nel caso in esame non sarebbe stato irrilevante ai fini della decisione la valutazione del decreto del 7 maggio 2024 con il quale il Governo italiano ha aggiornato la lista dei paesi sicuri per richiedenti protezione internazionale, lista nella quale appunto è stato inserito il Marocco”. Dunque, secondo la Cassazione, “sarebbe stato onere della corte d’appello verificare l’esistenza di notizie affidabili, provenienti da fonti qualificate, per accertare, al momento della decisione, la sussistenza di ragioni oggettive o soggettive per ritenere perdurante il pericolo di sottoposizione di D.F. [l’imputato, ndr] a un processo simulato onde perseguirlo per le opinioni politiche espresse”.

I giudici devono accodarsi al Governo

È allora chiaro: nessuno mette in dubbio la discrezionalità dei giudici, i quali però dovranno essere tenuti a una giusta motivazione delle loro sentenze. La lista del Governo non può essere dunque evitata, con l’esecutivo che deve fare da guida ai magistrati nell’indicazione dei Paesi sicuri. A maggior ragione adesso che la lista è diventata fonte di primo grado in Consiglio dei Ministri. Un modo per ribadire che le politiche di immigrazione devono essere decise dai governi a seconda del mandato affidato dai cittadini tramite il voto, e non dai magistrati attraverso loro arbitrarie argomentazioni che – è ormai evidente – sono troppo spesso influenzate da motivi di credo politico e preferenze personali. È il Governo a decidere quale Paese è sicuro: l’ha detto la Cassazione.

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