Elezioni, PD dimentica Made in Italy. FdI presenta le sue ricette per valorizzarlo.

“Italia: pizza, spaghetti e mandolino”. È un luogo comune diffusissimo, forse uno dei più diffusi che ci riguardano. È quasi la tappa obbligata di ogni viaggio. Non c’è Paese sulla faccia della terra dove non si sia sparsa la voce. Non c’è metropoli, città o villaggio dove, sapendovi italiani, non ve lo ripeteranno fino alla nausea.

Perciò: fatevene una ragione e, soprattutto, non abbiatene a male. Non stizzitevi. È in realtà un gran complimento. Non c’è popolo che possa vantare una simile reputazione internazionale, perché non c’è cultura che abbia saputo esportare in modo così capillare il proprio brand nel mondo. Certo, mangiare una cacio e pepe a Londra, piuttosto che una margherita a Tokyo, potrebbe non essere sempre un’esperienza appagante, però quella cacio e pepe e quella margherita significano una cosa su tutte: italianità.

È il nostro modo, un modo di tutto rispetto, di esistere al di là dei confini, nell’immaginario, nei desideri, nel quotidiano dei popoli. Il nostro modo di esserci e contare. È a tutti gli effetti uno strumento di soft power. La nostra tradizione è un’enorme risorsa economica, diplomatica e culturale. E come tale andrebbe difesa e valorizzata, soprattutto in tempi di crisi come quelli odierni. Ci si aspetterebbe, quindi, che la questione venisse perlomeno menzionata nelle proposte elettorali degli schieramenti politici che si contendono il governo della nazione. E invece, scorrendo le trentasette pagine di programma del Pd, non c’è alcun riferimento al Made in Italy. Neanche mezza riga.

Questo la dice lunga sulla sensibilità di Letta&Co rispetto all’argomento. È una dimenticanza siderale, inaccettabile, che aiuta a svelare l’inganno di una sinistra che da qualche tempo prova persino ad ergersi a “difensore degli interessi nazionali”. Come se l’attenzione verso un marchio che nel 2021 valeva 1.985 miliardi di dollari, e che Forbes colloca stabilmente nella “top ten” in termini di reputazione globale, non rientrasse negli “interessi nazionali” che il Pd dice di voler tutelare.

Venendo al programma di Fratelli d’Italia, che del patriottismo ha fatto una vera e propria missione politica, le ricette messe in campo per salvaguardare e promuovere il Made in Italy e le nostre eccellenze sono davvero tante. Non a caso il movimento dei patrioti gli dedica un punto programmatico ad hoc. Il titolo è eloquente: “Made in Italy e orgoglio italiano”. Il sottotitolo idem: “L’amore del mondo per l’Italia si chiama Made in Italy. Un marchio, uno stile di vita, un’opportunità economica e diplomatica per la nostra nazione, troppo spesso trascurato”.

Come uscire da questa trascuratezza? Fdi propone, ad esempio, la creazione di un portale digitale e di un’applicazione collegata dove produttori e commercianti troveranno spazio per promuovere direttamente le proprie eccellenze. Un’occasione unica anche e soprattutto per le tante imprese di piccole dimensioni, che potranno digitalizzare agevolmente il proprio magazzino e accedere ad una vetrina certificata dal governo italiano. Gli ingredienti per dare maggior respiro ad uno dei principali asset strategici italiani sono parecchi, e comodamente consultabili sul web. Tra questi, uno dei più innovativi è sicuramente la creazione di un liceo del Made in Italy. Una trovata che, alla riscoperta, valorizzazione e promozione del brand italiano nel mondo, coniuga l’urgenza di dare alle nuove generazioni una formazione di respiro internazionale e nuovi orizzonti occupazionali. Non più pagati per rimanere a casa a non far nulla, nelle intenzioni di Fdi, in nostri giovani devono essere stimolati e incoraggiati a diventare ambasciatori di italianità.

Non secondaria, per il partito guidato dalla Meloni, neppure la lotta senza quartiere ad ogni forma di contraffazione e falsificazione e ai sistemi ambigui e ingannevoli di etichettatura dei prodotti. Argomento, quest’ultimo, di stringente attualità considerando che entro la fine dell’anno la Commissione europea dovrà individuare un logo nutrizionale unico e obbligatorio per tutti i Paesi membri. E il rischio, neanche tanto velato, è che la scelta possa ricadere sul famigerato “Nutriscore”. È un sistema di etichettatura degli alimenti sviluppato in Francia. Serve a guidare il consumatore attraverso due scale associate: una cromatica, divisa in cinque gradazioni, dal verde al rosso, ed una alfabetica, comprendente cinque lettere, dalla A alla E. Le scale indicano i valori nutrizionali, zuccheri, grassi e sale, per 100 grammi di prodotto. È il gran giurì dell’alimentazione. Il problema è che le quantità di riferimento non rispecchiano le reali abitudini di consumo. L’esempio più emblematico delle storture di questo meccanismo, è quello dell’olio evo: uno degli ingredienti più genuini e salutari della dieta mediterranea, con un simile sistema di etichettatura, si vedrebbe assegnata automaticamente un’etichetta tendente al rosso. Ma chi è che consuma 100 grammi di olio evo al giorno? Nessuno. Il reale consumo giornaliero si aggira mediamente attorno ai 15 grammi.

È l’ennesima follia di un’Europa che ormai delibera per algoritmi. Molto distante dall’Europa dei popoli per cui dovrebbe lottare chi si ammanta di patriottismo.

Made in Italy e orgoglio italiano

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