Elezioni USA: in gioco c’è il destino dell’Occidente

Le guerre, l’immigrazione clandestina, il crollo del potere d’acquisto e la dittatura del politicamente corretto sono il male, Trump è la cura. Questo, per chi non l’avesse ancora capito, è il sentiment che pompa sangue nelle vene di gran parte degli elettori repubblicani, per i quali Make America Great Again non è un semplice slogan, ma la prospettiva di ricostruire sulle macerie ancora fumanti create da oltre tre anni di cancel culture e ideologia woke, vere e proprie clave con cui i democratici tentano di distruggere il minimo comune denominatore che ha consentito all’America di diventare grande: l’amore incondizionato per la propria Nazione e per i valori occidentali. One Nation under God.

Parliamo di due Americhe distinte e distanti: a sinistra quella dei globalisti che seminano un sentimento di odio nei confronti della Civiltà Occidentale nella sua interezza, a destra quella dei patrioti che difendono i valori millenari nei quali la nostra società affonda le radici, a partire dal suo nucleo fondante: la famiglia.

Una differenza che si sostanzia anche nei simboli: mentre i democratici riempiono città e perfino scuole con le bandiere arcobaleno delle comunità Lgbt, i conservatori continuano a brandire la Stars and Stripes, l’amata bandiera a stelle e strisce.

Tuttavia, quella cominciata ufficialmente la scorsa notte in Iowa con i caucus repubblicani (che Trump ha stravinto superando il 50% e staccando di 30 punti DeSantis e Haley) è una contesa che i principali mezzi d’informazione – tutti palesemente schierati contro l’ex presidente – raccontano travisando gran parte dei fatti, utilizzando la tecnica del framing: spacciando, cioè, le loro opinioni per verità assoluta.

Motivo per cui, nel proseguo di questo articolo, tenterò di fare chiarezza su alcune delle questioni che decideranno l’esito di queste elezioni a cui, piaccia o meno alle nostre latitudini, è legato a doppio filo il destino dell’intero Occidente:

Potrebbero impedire a Trump di candidarsi?

Allo stato attuale Donald Trump sarebbe impossibilitato a correre per la Casa Bianca solo in due casi: il primo è che venga sconfitto alle primarie repubblicane, ipotesi che appare oggettivamente irreale. Mentre il secondo, qualora si verificasse, sarebbe un vero e proprio cigno nero (un evento inatteso, in grado di cambiare il corso della storia) dalle conseguenze imprevedibili: che qualcuno organizzi un attentato e lo uccida. La storia, ahinoi, insegna.

La Corte Suprema non può estrometterlo?

No. Le cause intentate in alcuni Stati contro Trump si basano sulla sezione 3 del 14° Emendamento della Costituzione americana, che fu approvato dopo la Guerra di secessione (per l’esattezza nel 1868) per impedire ai sostenitori della causa dei sudisti di accedere a incarichi pubblici. Da allora non è mai stata applicata. I democratici si stanno attaccando a questa norma per tentare di estromettere l’ex presidente per i fatti del 6 gennaio 2021, peccato che: Trump non sia mai stato condannato per ciò che avvenne a Capitol Hill (oltretutto, nel frattempo sono emersi documenti che lo scagionano completamente dalle accuse di insurrezione) e che, oltre a questo, la Corte Suprema sia a maggioranza repubblicana (6 giudici a 3).

E le altre indagini a suo carico?

Attualmente Trump deve affrontare 5 procedimenti: quello basato sulle accuse dell’ex pornostar Stormy Daniels, l’indagine sui documenti classificati trovati nella sua residenza di Mar-a-Lago, quello sui fatti di Capitol Hill a cui mi riferivo poc’anzi, il caso Georgia con l’accusa di aver tentato di sovvertire il risultato elettorale e quello relativo alla sua società, la Trump Organization. Fino ad ora, complice il fatto che molti dei giudici che lo stanno indagando sono palesemente schierati con i democratici, l’accanimento giudiziario nei suoi confronti non ha fatto altro che aumentare il suo consenso. In ogni caso, per assurdo, potrebbe candidarsi (e vincere) anche se finisse in cella, cosa che comunque non avverrà.

Chi sarà il candidato vice di Trump?

Durante un’intervista rilasciata a Fox News, Donald Trump ha affermato di avere già deciso chi sarà il suo vice, ma non ha voluto fare nomi. La scelta dovrebbe ricadere su uno tra Ben Carson, chirurgo e già candidato alle primarie repubblicane del 2016, Vivek Ramaswamy, che ha appena annunciato il suo ritiro dalle primarie per sostenere Trump, il popolare giornalista conservatore Tucker Carlson e Kari Lake, candidata a governatore dell’Arizona nel 2022.

Davvero i democratici non hanno alternative a Biden?

I numeri, impietosi, dicono che Joe Biden verrà consegnato ai libri di storia come il presidente più impopolare di sempre. D’altra parte, non è certamente un caso se molti esimi esponenti dem gli abbiano consigliato (anche pubblicamente) di farsi da parte. Già, ma anche se fosse, quali sarebbero le alternative? Qualcuno dice Gavin Newsom, l’attuale Governatore della California il cui degrado dilagante, però, rappresenta l’emblema dell’approccio fallimentare dei fanatici dell’ideologia woke. Droghe (dalla marijuana al Fentanyl, che negli USA uccide più di 300 persone al giorno), rapine, immigrazione clandestina e razzismo al contrario nei confronti di chiunque “osi” mettere in discussione i dettami del politicamente corretto: piaghe sociali che caratterizzano tutte le grandi città amministrate dai democratici, da New York a San Francisco. Secondo altri, la vera alternativa potrebbe essere costituita da Michelle Obama, l’ex First Lady che, almeno in teoria, potrebbe correre in ticket con il marito, che tornerebbe così a Washington da vicepresidente di sua moglie. Fantapolitica? Chissà. Certo è che, per l’elettorato dem, un’ipotesi del genere sarebbe infinitamente più suggestiva di una ricandidatura dell’impresentabile Sleepy Joe.

Esistono outsider fuori dai partiti tradizionali?

Sì, ma non in grado di vincere. Mi riferisco a Robert Kennedy Jr., figlio di Robert ma costretto ad abbandonare i democratici per correre come indipendente a causa di alcune sue posizioni molto critiche nei confronti del vaccino in tempo di pandemia. Al netto di questo, siamo di fronte a un candidato estremamente comunicativo, capace di toccare, nei suoi discorsi, le corde giuste per un elettorato dem deluso da Biden e anche per alcuni elettori repubblicani refrattari a votare per Trump. Diciamo che, teoricamente, la sua candidatura dovrebbe togliere più voti a sinistra che a destra. Un autentico colpo di teatro sarebbe invece la candidatura de Kevin Spacey: nel corso di un’intervista rilasciata prima di Natale a Tucker Carlson, l’attore ha attaccato frontalmente Netflix e ha affermato che adora quando realtà e finzione diventano indistinguibili. Chiaro il riferimento a Frank Underwood, lo spietato protagonista di House of Cards da lui magistralmente interpretato prima che fosse travolto dalla gogna del #MeeToo, salvo poi essere assolto sia a New York che a Londra. Con una sua candidatura, Spacey ripercorrerebbe le orme di Volodymir Zelensky, anch’egli sceso in campo sul serio dopo aver interpretato il presidente in una serie televisiva.

Come mai tutti i maggiori mezzi d’informazione sono contro Trump?

Perché rappresenta il maggiore ostacolo alla totale affermazione dei fanatismi dettati dall’agenda woke: ideologia gender nelle scuole elementari, cancellazione della cultura occidentale dai libri di storia, ma anche l’affossamento delle economie locali attraverso l’estremismo green (criteri ESG, acronimo di environmental, social e governance) e la dittatura delle minoranze (criteri DEI, acronimo di diversity, equality e inclusion) a vantaggio delle multinazionali che, non a caso, finanziano i suddetti media unitamente ai partiti e alle lobby woke.

Per questi e per molti altri motivi che affronteremo nelle prossime settimane, non possiamo ridurre il significato delle elezioni americane ad una banale rivincita tra Biden e Trump. In palio c’è molto, molto di più: la sopravvivenza della Civiltà Occidentale.

Se, oltre a ciò, consideriamo che a giugno voteremo anche per il rinnovo del Parlamento Europeo, avremo perfettamente chiaro perché sinistra e media mainstream sono così agitati. Il che è un ottimo segno.

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Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente di marketing digitale, docente alla IATH Academy, è autore di 9 libri. È stato inviato di Vanity Fair alle elezioni USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

2 Commenti

  1. Caro Alessandro, ciao e buon anno.

    Telegraficamente:

    1. Economia: con Trump indicatori record da 35 anni

    2. Politica estera: mi pare che l’attuale disastro geopolitico parli da sé

    3. Woke: grazie a Dio noi abbiamo questo governo a fare da argine, ti garantisco che negli USA la questione è di portata epocale. Distruggere le fondamenta di una Nazione significa comprometterla sotto tutti i punti di vista, compresi quelli più concreti come l’economia.

    Ti abbraccio.

    Alessandro

  2. Caro Alessandro
    la candidatura di Trump, nella visione politica tua e di altri autori e lettori della Voce, sta prendendo un peso che veramente fatico a comprendere.
    E’ anche vero che per queste mie perplessità mi sono già preso gli strali di un lettore, che – credo – in risposta indiretta a un mio intervento mi ha invitato a rivolgenmi ad altri partiti diversi da FdI, fino a dire che se Trump è un delinquente è un delinquente anche lui.
    Vorrei uscire da una sterile polemica, che forse ho contribuito a creare e ne chiedo scusa, anch’io a volte mi faccio prendere da aspetti emotivi.
    Ma la questione è seria.
    Leggendo il tuo articolo, appare che Trump può rappresentare la salvezza della civiltà occidentale perchè contrasta l’ideologia woke e la cancel culture.
    Sono allibito. Ripeto se mai ce ne fosse bisogno la mia assoluta estraneità ed avversione per tali ideologie (woke e cancel).
    Ma qui stiamo parlando del governo della Nazione prima al mondo per economia, relazioni politiche e forza militare. La politica di tale Nazione si deve misurare in primo luogo su questi temi. E’ vero che con il sistema elettorale americano il 20-25% degli elettori può determinare l’elezione del Presidente (anche quando fu eletto nel 2016 Trump ebbe meno voti della Clinton, ma non per questo i democratici assaltarono il Parlamento!), e che quindi far leva su una minoranza agguerrita, fortemente “centrata” su questioni ideologiche e interne, può dare risultati migliori, ma un candidato presidente dovrebbe presentare un suo programma, e qui di programmi se ne sono visti pochi, a parte roboanti affermazioni di principio.
    E allora, se vogliamo valutare la candidatura Trump, domandiamoci quali possano essere i suoi programmi, a partire dai temi principali:

    • l’economia
    • la politica estera
    • la forza militare.

    Per inciso, il nostro Governo proprio sui primi due di questi due punti sta portando avanti una strategia vincente, riconosciuta dagli italiani e dalla maggioranza dei paesi esteri; con tutta la prudenza dopo una cultura dominante anti-militari ed anti patriottica, sta cercando di cambiare anche la politica della difesa militare.

    Cosa vuole Trump in economia, a parte la scontata affermazione di rendere più forte l’America? L’economia USA è fortemente interdipendente con quella di tutti i maggiori paese del mondo (eccetto al Russia, per mancanza di asset economici della Russia, tranne quelli energetici di cui USA è esportatore). Da tale interdipendenza anche l’economia italiana ha vantaggio. Trump vuole sviluppare tale interdipendenza o la vuole contrastare? E in quale modo? Lo dica.

    Cosa vuole Trump in politica estera? Il precedente mandato non ha detto molto, e in ogni caso quel poco non era così diverso da quanto visto in altre presidenze. Vuole abbandonare l’Ucraina al suo aggressore? Sembra aver simpatia per Netanyahu, ma la politica in medio oriente non può diepndere da una persona e nemmenoi da un partito politco.

    I due temi sono strettamente connessi. La maggiore forza dell’economia americana è nella forza del dollaro, che pur in un declino di lungo periodo l’amministrazione finanziaria americana è molto attenta a difendere. Ma senza giri di parole si deve ammettere che la maggior forza del dollaro non è nella FED ma nell’esercito americano, e quindi nella politica estera.

    Capisco che gli elettori cui su cui fa leva Trump – quella minoranza che però, come detto, può dargli l’elezione – non abbiano la cultura civile e politica per affrontare questi temi, ma siano maggiormente commossi dagli appelli contro l’immigrazione clandestina e la difesa delle tradizioni americane, ma il Presidente dovrà misurarsi con i tre temi sopra indicati, economia, politica estera, forza militare; i problemi interni diventeranno secondari.

    Ed anche a noi italiani la politica del nuovo Presidente interessa per come tratterà quei tre temi.
    Fare della lotta agli woke il punto di svolta dell’occidente sarebbe un po’ come dire che la strategia politica del Governo italiano fa leva sull’aumento delle pensioni, con tutto rispetto per i pensionati.

    E adesso datemi pure del liberale (per me sarebbe un onore) ma certamente non dell’anti-patriota.

    Con affetto

    Alessandro

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